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di Rossella Gemma

In occasione della Giornata Mondiale del Sonno che si celebra il 15 marzo di ogni anno, la Società Italiana di Diabetologia ricorda l’importanza della relazione tra un sonno di giusta durata e qualità e il rischio di sviluppare diabete di tipo2. Lo ricorda un recentissimo studio apparso su Nutrition & Diabetes che ha esaminato i dati di 41mila persone del database NANHES, selezionando le informazioni su tempo, frequenza e qualità del cibo consumato in orari notturni. Obiettivo: determinare se mangiare di notte si associa a diabete e mortalità. “Il momento in cui vengono consumati i pasti è più importante di quanto si pensi” spiega il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID “consumare pasti notturni ad alto carico energetico espone a rischi maggiori. Quindi la scelta degli alimenti è una strategia per contrastare i rischi dell’alimentazione notturna, sia essa per abitudine che per necessità professionali come avviene nei lavoratori notturni o turnisti”. In Italia i lavoratori turnisti sono circa il 18% del totale.

Lo studio ha rilevato un aumento del rischio di mortalità più del doppio per diabete in quelli che cenano tra le 23 e mezzanotte. Nel gruppo ad alta intensità calorica il rischio di mortalità generica aumentava del 21%, mentre quella per diabete era quasi doppia.

Il corpo umano ha un suo orologio e si trova nel cervello. Questo orologio, un master clock centrale, sincronizza tutte le funzioni dell’organismo deprimendone o attivandone altre in funzione delle ore del giorno. L’orologio biologico è influenzato, ad esempio, dalla luce - Il master clock reagisce principalmente al segnale luminoso (ma non è in grado di distinguere tra luce naturale e artificiale). La luce viene colpita da specifici recettori presenti nella retina. Tra i segnali periferici, la melatonina è uno dei più noti. Ormone liposolubile prodotto dall’epifisi aumenta nelle ore notturne con un picco tra le 2 e le 4 del mattino influenzando il sonno, la temperatura e l’appetito. I ritmi di vita moderni, già con l’introduzione della luce elettrica che ha allungato i periodi di veglia nelle ore notturne, interferiscono con l’orologio biologico che è regolato sui ritmi naturali. 

I lavoratori turnisti notturni presentano un indice di massa corporea più elevato dei lavoratori diurni – “Il lavoro notturno determina una alterazione di numerosi profili metabolici con aumento dei trigliceridi, diminuzione del colesterolo ‘buono’, iperglicemia e aumento dell’emoglobina glicata“ prosegue Avogaro. “Valori che tornano alla normalità quando si sospende la turnazione giorno/notte. In alcuni studi si è visto come i lavoratori notturni, a parità di calorie totali, tendano ad assumere cibi meno salutari e ultra-processati, come junk food che aumentano il rischio di obesità e diabete”. 

Sonno: 5 ore per notte aumentano il rischio di diabete - Le relazioni tra sistemi biologici sono delicate e complesse. Uno studio recente ha rivelato che dormire 5 ore o meno aumenta il rischio di diabete di tipo 2 anche nelle persone con abitudini alimentari sane. I ricercatori dell’Università di Uppsala hanno scoperto che gli individui che dormivano in media 5 ore (su un campione di 2147 persone di età media 55 anni seguiti per 12.5 anni), e quelli che dormivano da 3 o 4 ore per notte avevano un rischio maggiore di sviluppare diabete di tipo 2 rispetto a quelli che dormivano tra 7 e 8 ore.

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di Rossella Gemma

Sono 800 milioni le persone nel mondo che convivono con l’obesità, e secondo le stime saranno 1,9 miliardi nel 2035, ovvero 1 persona su quattro, con un impatto economico stimato di 4,32 trilioni complessivamente sul pianeta a causa di sovrappeso e obesità. L’incremento stimato dell’obesità fra i bambini dal 2020 al 2035 è del 100 per cento. Sono questi i numeri allarmanti di un’emergenza globale, che impatta fortemente anche nel nostro Paese, portati oggi all’attenzione di tutti in occasione della World Obesity Day, che ricorre ogni anno il 4 marzo. Un’emergenza alla quale vuole rispondere, individuando una roadmap virtuosa di obiettivi fondamentali, il “Manifesto per il contrasto all’obesità, come malattia cronica da affrontare in maniera sinergica multidisciplinare e olistica, libera da pregiudizi, stigma e discriminazione”, realizzato dall’Italian Obesity Network e sottoscritto da oltre 20 organizzazioni rappresentative del mondo medico-scientifico, delle istituzioni e dei pazienti. Il Manifesto viene presentato oggi presso il Senato della Repubblica in un evento che si svolge su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini, in collaborazione con l'Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili.

La Giornata Mondiale dell'Obesità (World Obesity Day), istituita nel 2015 dalla World Obesity Federation, ricorre in tutto il mondo, coinvolgendo organizzazioni, associazioni e individui, con l’obiettivo ambizioso di invertire la crisi globale dell'obesità. La giornata ha lo scopo di sensibilizzare cittadini e istituzioni e di incoraggiare la prevenzione dell’obesità, evitando discriminazioni, pregiudizi e l’uso di un linguaggio stereotipato e stigmatizzante sulle persone che vivono con l'obesità. “Parliamo dell’obesità e…” (“Let’s Talk About Obesity and...”) è il tema a cui è dedicata la Giornata di quest’anno, le cui iniziative italiane sono state presentate il 29 febbraio in una conferenza stampa svoltasi su iniziativa dell’On. Roberto Pella presso la Camera dei Deputati. L’obesità è una complessa interazione di diversi fattori, che riguarda persone diverse, in paesi e culture diverse. Una strategia universale per ogni persona non sarà mai la soluzione. Ecco perché la Giornata mondiale dell’obesità di quest’anno vuole aprire un dibattito più ampio. L’obiettivo è quello di avviare conversazioni trasversali, guardare alla salute, ai giovani e al mondo che ci circonda, condividere conoscenze, guardare l'obesità da prospettive diverse.

L’obesità è un’emergenza che riguarda, come il mondo, anche il nostro Paese. Secondo i dati Istat presentati lo scorso ottobre durante il quinto Italian Obesity Barometer Summit, in Italia nel 2022 la percentuale di adulti con sovrappeso e obesità, pari al 46,3 per cento, è tornata ai livelli pre-pandemia, durante la quale si era raggiunto il picco del 47,6 per cento. Tuttavia, è solo il numero di persone con sovrappeso che è sceso, tanto che quello delle persone con obesità è passato dal 10,9 per cento del 2019 all’11,4 per cento nel 2022, con un picco del 12 per cento nel 2021. Solo il 17,2 per cento della popolazione di 3 anni e più in Italia dichiara di consumare almeno 4 o più porzioni di frutta o verdura al giorno. Oltre 21 milioni di persone, ovvero il 37,2 per cento della popolazione di 3 anni e più, dichiarano di non praticare né sport né attività fisica nel tempo libero, con marcate differenze di genere: è sedentario il 40,6 per cento delle donne contro il 33,6 per cento degli uomini. Il 59,1 per cento delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga attività fisica adeguata.

Il Manifesto 2024 dell’Italian Obesity Network è un aggiornamento del precedente approvato e sottoscritto nel 2018, che intende rinnovare lo stimolo a identificare una roadmap virtuosa finalizzata al raggiungimento di quattro obiettivi principali:

1. Dare priorità all’obesità come malattia non trasmissibile (NCD), ovvero ottenere l’inclusione governativa e parlamentare e del sistema sanitario dell’obesità come malattia cronica non trasmissibile (NCD) a sé stante;

2. Costruire l’alfabetizzazione sanitaria, ovvero costruire la consapevolezza pubblica e politica delle complessità che ha l’obesità lungo il corso della vita della persona, per combattere la discriminazione e lo stigma sociale ed istituzionale e consentire un processo decisionale più informato e consapevole.

3. Ottimizzare le strategie di prevenzione, ovvero garantire che i governi diano priorità alla raccolta di dati, alla generazione di prove e alle risorse necessarie per fornire azioni che contribuiscano efficacemente a prevenire o ridurre i fattori di rischio chiave per l’obesità.

4. Migliorare i servizi alla persona con obesità, ovvero garantire che le persone che vivono con o sono a rischio di obesità abbiano accesso a servizi sanitari adeguati lungo il corso della loro vita e a un supporto che sia privo di pregiudizi.

Il White Paper “The Need for a Strategic, System-wide Approach to Obesity Care”, che viene pubblicato da OPEN, Obesity Policy Engagement Network, sempre in occasione di questa Giornata Mondiale, e che viene presentato oggi in Senato, evidenzia gli ostacoli alla diagnosi, al trattamento e alla gestione dell’obesità, le lacune che permangono rispetto a questa malattia nell’alfabetizzazione sanitaria, nonché la carenza di ricerca e di finanziamenti. Il White Paper sottolinea alcune azioni necessarie prioritarie: colmare le attuali lacune nell'istruzione e nella ricerca per promuovere interventi politici adeguati e linee guida standardizzate sulla gestione dell'obesità; promuovere una più ampia consapevolezza sulle cause e sull’impatto dell'obesità per ridurre i pregiudizi e lo stigma; dare priorità agli interventi che affrontano i fattori sottostanti (biologici, genetici, ambientali, psicologici e socioeconomici) che contribuiscono allo sviluppo e alla persistenza dell'obesità; condurre analisi dei costi nazionali per misurare il peso economico della cura dell'obesità, affinché i governi possano attingere a questi dati per implementare nuove opzioni politiche e modificare le strategie esistenti per affrontare questa malattia.

«L’obesità, in termini di impatto clinico e di spesa medica per il trattamento delle malattie che ne derivano, costituisce una sfida che, se non adeguatamente affrontata, finirà per condizionare le generazioni future con importanti conseguenze negative sul sistema sanitario e sulla nostra società tutta», dichiara il Prof. Rocco Barazzoni, Presidente della Società Italiana dell’Obesità, «È giunto il momento di mettere in atto soluzioni di politica sanitaria e di governance clinica che siano in grado di dare risposte concrete alle persone con obesità e soprattutto che coinvolgano e siano disponibili per l’intera popolazione, al fine di aumentare il supporto e diminuire le disuguaglianze di accesso alle cure sul territorio».

«Nella lotta all’obesità, il contrasto allo stigma sociale costituisce un obiettivo prioritario, accanto alle politiche di prevenzione e agli interventi mirati su alimentazione e sport», dichiara Giuseppe Fatati, Presidente Italian Obesity Network. «Occorre un approccio multidisciplinare, di cui la lotta allo stigma sia parte centrale, per far sì che sia considerata da parte dei governi, dei sistemi sanitari e delle stesse persone con obesità, come già fatto dalla comunità scientifica, una malattia cronica che richiede una gestione di lungo termine, e non una responsabilità del singolo. Questo potrebbe contribuire in modo decisivo a ridurre la disapprovazione sociale e gli episodi di discriminazione verso chi ne è affetto, oltre a incidere sulle cure e sui trattamenti per l’obesità».

«Desidero sottolineare l'importanza cruciale di riconoscere l'obesità come una vera e propria malattia cronica che richiede non solo un'attenzione clinica particolare, ma anche un intervento coordinato sia a livello nazionale che internazionale», dichiara il Prof. Angelo Avogaro, Presidente Società Italiana di Diabetologia, «L'obesità non è semplicemente una questione di scelte individuali o di stile di vita; è il risultato di una complessa interazione di fattori genetici, ambientali e sociali. L'obesità è anche un potente fattore di rischio per lo sviluppo di numerose altre condizioni, tra cui le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, diverse forme di cancro, e disturbi muscolo-scheletrici. Questo la rende non solo una questione di salute pubblica di primaria importanza, ma anche una sfida sociale ed economica significativa, con impatti profondi sul sistema sanitario, sulla produttività e sulla qualità della vita degli individui. Una letteratura ormai consolidata indica che una riduzione del 5 per cento del peso diminuisce il rischio di diabete del 40 per cento con un miglioramento clinico significativo dell'emoglobina glicata e della pressione arteriosa. Perdite di peso anche moderate hanno migliorato, non solo i più comuni fattori di rischio, ma anche esiti di malattia come steatosi epatica e apnee notturne nelle persone con diabete di tipo 2».

 

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di Rossella Gemma

Presto il glucagone nasale, farmaco per il trattamento dell’ipoglicemia severa, tornerà erogato nelle farmacie in forma gratuita per tutti i diabetici di tipo 1. Rassicurazioni in tal senso sono state fornite a Emilio Augusto Benini, Presidente di Fand - Associazione Italiana Diabetici, da Jacob Liawatidewi, amministratore aziendale di Amphastar, che ha rilevato il prezioso farmaco salvavita da Eli Lilly. L’associazione delle persone con diabete Fand, da subito si era attivata per avere un rapporto diretto con la nuova azienda e cercare insieme la miglior soluzione.

Oggi, l’azienda risponde a Fand che il 16 febbraio è stata ricevuta l'approvazione dalla Commissione europea per il trasferimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio del farmaco da Eli Lilly ad Amphastar France. L’azienda specifica nella risposta a Fand che sta al momento aspettando la decisione dell'Aifa sulla valutazione del fascicolo relativo al farmaco, che si spera porterà alla sua riclassificazione in classe A.

L’Aifa con determinazione del 10 ottobre 2023 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 23 ottobre) ha disposto il ritorno del farmaco in classe C, ossia a pagamento, dopo che negli ultimi 2 anni era posizionato in fascia A (rimborsabile). Una procedura questa che si è resa necessaria, con grave disagio per molti pazienti, in quanto l’azienda produttrice del glucagone spray nasale (Eli Lilly azienda leader nella produzione di insulina e non solo), nell’aprile 2023 ha venduto questo farmaco ad Amphastar Pharmaceuticals, Inc, un’azienda focalizzata sullo sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti iniettabili, intranasali e per inalazione. La nuova azienda produttrice Amphastar, non avendo al momento una sede in Italia, non ha potuto procedere alla rinegoziazione del prezzo con Aifa, che si è vista costretta a riposizionare il glucagone spray nasale in fascia C.

«La Fand dopo le prime interlocuzioni, attraverso i suoi rappresentanti in ogni Regione, si era attivata per non lasciare i pazienti senza la possibilità di avere il prezioso farmaco», dichiara il Presidente Fand Emilio Augusto Benini, «Ora che l’azienda ha comunicato i diversi passaggi che sta svolgendo, in Europa e in Italia, si concretizzano ulteriormente le possibilità che presto si possa ritornare a una erogazione gratuita in tutto il territorio nazionale, per tutte le persone con diabete che ne hanno bisogno».

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di Rossella Gemma

L’IRCCS di Negrar “fa scuola” in Italia e nel mondo: dopo solo un anno dalla certificazione di centro qualificato, raggiunge un ulteriore e prestigioso traguardo nell’applicazione del protocollo chirurgico ERAS (Enhanced Recovery After Surgery), un percorso di cure che ha come obiettivo la migliore e più rapida ripresa del paziente dopo l’intervento. Il Dipartimento di Chirurgia Generale ha infatti ricevuto la certificazione internazionale di centro formatore ERAS (ERAS® Training Center) per la chirurgia colo-rettale e bariatrica, che consente alle componenti delle due equipe chirurgiche di formare altri centri europei ed italiani in merito all’applicazione e implementazione del protocollo ERAS che, grazie all’adozione di percorsi-pazienti virtuosi e specifiche tecniche chirurgiche ed anestesiologiche nelle varie fasi peri-operatorie permette di abbattere le complicanze e quindi la durata del ricovero.  

“Grazie ad Eras, all’IRCCS di Negrar, infatti, la degenza media è passata da 8,5 giorni a 4,6 per quanto riguarda la chirurgia colo-rettale, mentre per quella bariatrica la media attuale è di 2 giorni contro i 4 prima dell’applicazione del protocollo - afferma il dottor Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia Generale -. In calo significativo anche le complicanze post-intervento che sono passate dal 33 al 19,5%. Rilevanti anche i dati relativi al dolore e alla nausea dopo l’operazione, il cui controllo è fondamentale per la ripresa della mobilizzazione e dell’alimentazione precoci: si è passati rispettivamente dal 12% al 2% e dal 4% all’1,5%”.

“La certificazione di centro formatore è il risultato di un lavoro complesso di più specialisti, non solo chirurghi, che ha portato ad un’adesione al protocollo superiore al 95%, grazie alla quale sono stati ottenuti significativi miglioramenti a vantaggio di tutti i pazienti, ma in particolare per quelli fragili e per coloro che subiscono interventi ad alta complessità – continua Ruffo -. Il prossimo obiettivo è il riconoscimento di centro di eccellenza, di cui si avvalgono una trentina di ospedali in tutto il mondo, raggiungibile con il mantenimento dei risultati ottenuti e implementando ulteriormente il protocollo Eras con percorsi virtuosi, come l’attivazione di un centro antifumo e un percorso peri-operatorio per il paziente anziano”.

Il protocollo Eras è stato adottato ufficialmente dalla chirurgia colo-rettale nel settembre 2021, quando sono stati inseriti i primi pazienti aderenti al percorso sulla piattaforma mondiale della società scientifica. Oggi i pazienti sono 713, ai quali si aggiungono i 228 della chirurgia bariatrica, che ha iniziato il percorso nel 2021. 

“Secondo Eras il miglior recupero dopo l’intervento è raggiungibile solo se in ognuna delle tre fasi del protocollo vengono rispettate specifiche linee guida. Di fondamentale imporanza è la fase pre-operatoria che si basa sulla preparazione ottimale del paziente attraverso un piano nutrizionale e un percoso di preabilitazione appositamente creati dal nutrizionista e dal fisiatra – spiega la dottoressa Elisa Bertocchi, chirurgo colo-rettale -. Diagnosticate eventuali carenze, viene integrata l’alimentazione con specifici integratori e in caso di anemia, cercata e corretta la causa della stessa”. 

La fase operatoria non si limita alla chirurgia mini-invasiva, ma a una serie di procedure anestesiologiche, come la somministrazione di pochi liquidi e l’uso limitato di farmaci oppioidi. “Dalla sala operatoria il paziente esce privo di cateteri e drenaggi, e già nelle ore successive inizia a bere, ad alimentarsi e a muoversi anche grazie a terapie per il controllo del dolore e della nausea – prosegue -. Tutto questo richiede collaborazione da parte dell’équipe multispecialistica e l’adesione attiva e consapevole da parte del paziente a tutto il percorso. Adesione supportata da una un’APP (IColon) che stimola continuamente il paziente ad essere aderente al protocollo e che rappresenta una sorta di diario digitale che consente al medico di monitorare a distanza il paziente dopo le dimissioni e al paziente di rimanere sempre in contatto con il medico”.

“Nella chirurgia bariatrica, ERAS facilita la gestione del paziente, molto spesso giovane e con l’esigenza di tornare al più presto alle attività quotidiane – afferma la dottoressa Irene Gentile, chirurgo bariatrico -. Inoltre, il coinvolgimento attivo è ancora più importante per il paziente affetto da obesità grave per quanto riguarda l’aspetto dell’alimentazione e dell’attività fisica: il calo ponderale è fondamentale sia per la candidabilità all’intervento sia per la buona riuscita dello stesso”.

 

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di Rossella Gemma

Il Virus Respiratorio Sinciziale - RSV è in aumento. In Europa, infatti, provoca più del 60% delle infezioni respiratorie acute in bambini inferiori ai 5 anni di età e negli adulti over 60 vengono stimati circa 3 milioni di casi di sindromi respiratorie acute, con più di 465mila ospedalizzazioni e più di 33mila decessi in ambito ospedaliero RSV-correlati.

La Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) hanno redatto un Documento congiunto per stimolare alcune azioni urgenti per la prevenzione delle malattie RSV-associate, come l’uso preventivo del nuovo anticorpo monoclonale a lunga emivita (Nirsevimab) e l’impiego dei nuovi vaccini contro l’RSV oggi disponibili. Si auspica, inoltre, che la vaccinazione contro l’RSV venga inserita nel calendario vaccinale e sia raccomandata negli adulti con più di 60 anni con co-morbosità e negli anziani over 75.

Per far fronte al quadro epidemiologico del RSV ed alla luce delle nuove opzioni di prevenzione a disposizione, il Documento “Prevenzione delle infezioni da Virus Respiratorio Sinciziale nella popolazione italiana” redatto dagli specialisti di SItI e SIMIT si propone come punto di partenza per quattro obiettivi: potenziare il sistema di sorveglianza per le infezioni virali respiratorie in accordo con le indicazioni dell’OMS e dell’ECDC; considerare la disponibilità del nuovo anticorpo monoclonale come un’importante arma di prevenzione universale delle malattie da Virus Respiratorio Sinciziale, che andrebbe inquadrata in termini regolatori e organizzativi alla stregua di un programma vaccinale che interessi come presidio preventivo l’intera coorte di nuovi nati; considerare che i nuovi vaccini contro l’RSV oggi disponibili rappresentano un’opzione preventiva innovativa nei confronti di un bisogno medico ad oggi insoddisfatto; prevedere di inserire la vaccinazione contro l’RSV nel calendario vaccinale, raccomandando la vaccinazione negli adulti >60 anni di età con co-morbosità e negli anziani >75 anni di età.

“Il Virus Respiratorio Sinciziale umano è uno dei virus più comuni che infettano i bambini in tutto il mondo ed è sempre più riconosciuto come un importante patogeno negli adulti, in particolare negli anziani – afferma il Prof. Giovanni Gabutti, Coordinatore del Gruppo di Lavoro ‘Vaccini e Politiche vaccinali’ della Società Italiana d’Igiene (SItI) - Le infezioni da RSV rappresentano un rilevante problema di Sanità pubblica che coinvolge tutte le fasce di età e per il quale purtroppo non esiste un trattamento efficace. La gestione e la prevenzione delle patologie RSV-correlate sono ad oggi un bisogno medico insoddisfatto che può trovare una risposta grazie alle nuove scoperte scientifiche ed alla disponibilità di nuove opzioni di intervento in termini di immunoprofilassi passiva ed attiva”.

“Il Virus Sinciziale lo abbiamo conosciuto meglio negli ultimi anni con il nuovo sistema di monitoraggio delle polmoniti – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – È un virus che frequentemente colpisce bambini o persone in età più avanzata con forme di polmonite molto gravi, con un rischio di letalità certamente non trascurabile. La disponibilità dei nuovi strumenti preventivi, i cui risultati di sicurezza ed efficacia sono confermati, deve rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per il SSN. Permetteranno infatti di salvaguardare la salute di soggetti i cui sistemi immunitari non sono completamente sviluppati, come i bambini, o che attraversano una fase di immunosenescenza, come negli over 60”.

Il Virus Respiratorio Sincinziale (RSV) è uno dei virus più comuni che infettano i bambini ed è riconosciuto come un importante patogeno anche negli adulti. Più del 60% delle infezioni respiratorie acute in bambini inferiori ai 5 anni di età (e più dell’80% nei bambini con meno di 1 anno) sono dovute a RSV. In Europa, negli adulti over 60, vengono stimati circa 3 milioni di casi di sindromi respiratorie acute, più di 465mila ospedalizzazioni e più di 33mila decessi in ambito ospedaliero RSV-correlati. In Italia, nel periodo 2001–2014 sono stati registrati 57.656 ricoveri ospedalieri per patologie da RSV. Si stima che nella stagione 2022-2023, circa il 50% delle sindromi simil-influenzali nei bambini con meno due anni sia stato causato da RSV. Inoltre, il tasso di ospedalizzazione in età pediatrica RSV-correlato è incrementato nelle ultime stagioni rispetto a quanto registrato negli anni precedenti. L’impatto negli adulti, certamente sottostimato, nel 2019 conta circa 290mila casi di infezioni respiratorie acute da RSV, 26mila ospedalizzazioni e 2mila decessi in ambito ospedaliero.

Non sono disponibili terapie antivirali per l’RSV. Si può ridurre il rischio di contagio con approcci non farmacologici come il lavaggio delle mani, non toccarsi il volto, pulire le superfici, la distanza da persone con starnutazione o tosse, la non esposizione al fumo di tabacco. Tuttavia, l’aspetto innovativo risiede nei nuovi approcci preventivi farmacologici: l’immunoprofilassi passiva con anticorpi monoclonali e la profilassi attiva mediante immunizzazione. La prima consiste nell’anticorpo monoclonale Nirsevimab, che ha un’efficacia del 74,5% per le infezioni delle basse vie respiratorie da RSV e del 62,1% per le ospedalizzazioni per le infezioni delle basse vie respiratorie RSV-correlate. Recentemente poi sono stati approvati e sono disponibili due vaccini per RSV: il vaccino ricombinante, bivalente non adiuvato ed il vaccino ricombinante monovalente adiuvato, entrambi con elevati profili di efficacia. Il vaccino ricombinante, bivalente non adiuvato è indicato per la protezione passiva nei neonati dalla nascita fino ai 6 mesi di età a seguito dell’immunizzazione della madre durante la gravidanza e per l’immunizzazione attiva dei soggetti di età pari o superiore a 60 anni; il vaccino ricombinante monovalente adiuvato è indicato per l’immunizzazione attiva negli adulti di età pari o superiore a 60 anni. Anche un terzo vaccino a mRNA è in fase avanzata di sviluppo.

 

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di Rossella Gemma

Anche quest’anno, si svolge la GRF - Giornata di Raccolta del Farmaco. Durerà una settimana, da martedì 6 a lunedì 12 febbraio. In oltre 5.600 farmacie che partecipano in tutte le città italiane (espongono la locandina dell’iniziativa - L’elenco è consultabile su www.bancofarmaceutico.org), è chiesto ai cittadini di donare uno o più medicinali da banco per i bisognosi

I farmaci raccolti (598.178 confezioni nel 2023, pari a un valore di 5.010.685 €) saranno consegnati a 1.900 realtà benefiche che si prendono cura di almeno 427.000 persone in condizione di povertà sanitaria, offrendo gratuitamente cure e medicine. Il fabbisogno segnalato a Banco Farmaceutico da tali realtà supera il milione di confezioni di medicinali. Si invitano i cittadini ad andare apposta in farmacia per donare un farmaco.  Servono, soprattutto, antinfluenzali e medicinali pediatrici, antifebbrili, analgesici, preparati per la tosse e per i disturbi gastrointestinali, farmaci per i dolori articolari e muscolari, antistaminici, disinfettanti, vitamine e sali minerali.  La GRF si svolge sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con il patrocinio di AIFA e in collaborazione con Cdo Opere Sociali, Federfarma, Fofi, Federchimica Assosalute, Egualia – Industrie Farmaci Accessibili. Intesa Sanpaolo è Partner Istituzionale dell’iniziativa. La GRF è realizzata grazie all’importante contributo incondizionato di IBSA Italy, Teva Italia, EG Stada Group e DHL Supply Chain Italia e al sostegno di DOC Generici, Accord Healthcare, Piam Farmaceutici, Zentiva Italia e Zuccari.

La Raccolta è supportata da RAI per la Sostenibilità – ESG, Mediafriends, La7, Sky per il sociale, e Pubblicità Progresso. L’iniziativa è possibile grazie al sostegno di oltre 19.000 farmacisti (titolari e non) che oltre a ospitare la GRF la sostengono con erogazioni liberali. Anche quest’anno, ci saranno oltre 25.000 volontari. «Donare un farmaco è un gesto semplice e può essere determinante per la salute di chi non può permetterselo. Contribuisce in maniera importante al bene di chi lo riceve. Ma anche di chi lo dona. Perché, in fondo, compiere il bene è una parte inscindibile della legge scritta nel cuore di ogni persona, è una componente della stessa struttura umana: “siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità”, ha detto Papa Francesco in previsione della Giornata Mondiale del Malato, che cade proprio durante la settimana di Raccolta. La gratuità, insomma, è una dimensione essenziale della nostra anima. Basterebbe questo non solo per donare un farmaco a chi ne ha bisogno, ma anche per comprendere come sarebbe così semplice costruire un mondo di pace», ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico Ets.

«La responsabilità sociale è nel DNA della farmacia: per tale motivo anche quest’anno partecipiamo attivamente alla Giornata di Raccolta del Farmaco. Un’iniziativa importante per dare un aiuto concreto a chi ne ha bisogno» afferma Marco Cossolo, presidente di Federfarma nazionale. «I farmacisti in farmacia, in quanto parte integrante del tessuto sociale, sono sensibili alle disuguaglianze sanitarie, purtroppo presenti in molte parti del nostro Paese. Negli ultimi anni si è verificato un aumento del disagio economico e della povertà sanitaria: i farmacisti ne hanno piena coscienza come professionisti della salute, perciò si impegnano costantemente nei confronti della comunità e dei più fragili».

«Anche quest’anno la FOFI è al fianco di Banco Farmaceutico in questa importante iniziativa di solidarietà che si avvale del contributo fattivo dei farmacisti per fornire un aiuto concreto alle persone più indigenti – ha dichiarato Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI) –. Ringrazio tutti i colleghi che hanno aderito numerosi, a conferma della grande sensibilità e attenzione nei confronti delle comunità in cui operano e dell’impegno costante di tutta la categoria per garantire la tutela alla salute quale diritto fondante della nostra società. La Giornata di Raccolta del Farmaco, resa possibile grazie al contributo di migliaia di volontari e alla grande generosità degli italiani, ci ricorda il valore sociale del dono, oggi più che mai, per tendere una mano a chi ha più bisogno».

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di Rossella Gemma

Il 26 gennaio 2024 l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha pubblicato un report per valutare la copertura vaccinale anti-COVID degli over 60 nei paesi europei. Il periodo considerato è compreso tra il 1° settembre 2023 e il 15 gennaio 2024. 6 Paesi su 30 non hanno fornito i dati all’ECDC: Austria, Croazia, Germania, Italia, Lettonia e Svezia.

«Considerato che, inspiegabilmente, il nostro Paese non ha trasmesso i dati richiesti – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – abbiamo realizzato un’analisi indipendente utilizzando i dati nazionali ufficiali sulle coperture per valutare il posizionamento dell’Italia rispetto ai paesi europei inclusi nel report dell’ECDC, oltre che per effettuare un confronto tra le Regioni italiane».

I dati relativi all’Italia sono stati estratti dalla dashboard del Ministero della Salute che riporta le somministrazioni relative alla campagna vaccinale 2023-2024 effettuate a partire dal 26 settembre 2023, dopo l’introduzione dei nuovi vaccini adattati a Omicron XBB.1.5. L’ultimo aggiornamento della platea di riferimento è del 17 febbraio 2023.

COPERTURE VACCINALI: CONFRONTO TRA ITALIA E PAESI EUROPEI

60-69 anni. Nella fascia 69-69 anni, con una copertura nazionale del 5,7%, l’Italia si colloca al 14° posto.  13 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 6,6% della Repubblica Ceca al 43,5% della Danimarca. 11 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 5,4% di Cipro allo 0% della Romania (figura 1).

70-79 anni. Nella fascia 70-79 anni, con una copertura nazionale dell’11%, l’Italia è 15a. 14 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 13% del Lussemburgo all’80,4% della Danimarca. 10 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 6,9% del Liechtenstein allo 0% della Romania (figura 2).

Over-80. Negli over 80, con una copertura nazionale del 14,4%, l’Italia si posiziona 14a. 13 paesi hanno raggiunto coperture superiori a quelle dell’Italia: dal 15,8% della Repubblica Ceca all’88,2% della Danimarca. 11 paesi hanno raggiunto invece coperture inferiori alle nostre: dal 13,5% dell’Estonia allo 0,01% della Romania (figura 3).

«Le coperture raggiunte in Italia per tutte le fasce di età over 60 anni – commenta Cartabellotta – documentano un sostanziale fallimento della campagna nazionale di vaccinazione anti-COVID-19. I tassi di copertura del 5,7% per la fascia 60-69 anni, dell’11% per la fascia 70-79 anni e del 14,4% per gli over 80 ci collocano solo davanti ai paesi dell’Europa dell’Est (eccetto la Repubblica Ceca che ci precede in tutte le fasce d’età e l’Estonia per i 60-69 e i 70-79 anni), a Grecia, Malta, Liechtenstein e, solo per gli over 80, Cipro. Siamo molto lontani dai risultati raggiunti nei paesi dell’Europa settentrionale, ma anche da Spagna, Portogallo e Francia: paesi dove le coperture per le tre fasce di età documentano campagne vaccinali efficaci per tutti gli over 60, con percentuali di copertura crescenti con la fascia di età».

COPERTURE VACCINALI: CONFRONTO TRA LE REGIONI ITALIANE

60-69 anni. A fronte di una copertura nazionale del 5,7%, 10 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dal 5,9% del Piemonte all’11% della Toscana. 11 Regioni si trovano sotto la media: dal 5,6% dell’Umbria allo 0,9% della Sicilia (figura 4).

70-79 anni. A fronte di una copertura nazionale dell’11%, 9 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dall’11,5 dell’Umbria al 21,4% della Toscana. 12 Regioni si trovano sotto la media: dal 10,6% del Veneto all’1,8% della Sicilia (figura 5).

Over 80. A fronte di una copertura nazionale del 14,4%, 9 Regioni si collocano sopra la media nazionale: dal 14,6% dell’Umbria al 26,3% della Toscana. 12 Regioni si trovano sotto la media: dal 14% di Veneto e Lazio, all’1,9% della Sicilia (figura 6).

«Le coperture vaccinali per le tre fasce di età nelle Regioni italiane – commenta Cartabellotta – ripropongono la “frattura strutturale” Nord-Sud che caratterizza il nostro Servizio Sanitario Nazionale: le Regioni meridionali non solo si trovano al di sotto della media nazionale, ma sono tutte a fondo classifica con coperture vaccinali simili a quelle dei paesi dell’Europa orientale. Anche i risultati della Toscana, che raggiunge le percentuali più elevate di copertura vaccinale nelle tre fasce di età (rispettivamente 11%, 21,4% e 26,3%), rimangono molto lontani da quelli dei paesi del Nord Europa. Considerata l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia grave e la mortalità negli anziani e nei fragili, è legittimo ipotizzare che una parte degli oltre 4.000 decessi riportati nel periodo considerato poteva essere evitato, in particolare tra gli over 80».

«L’analisi dei dati relativi alle coperture vaccinali in Italia per gli over 60 e i confronti con il resto dell’Europa – conclude Cartabellotta – documentano un clamoroso flop della campagna vaccinale anti-COVID nella stagione autunno-inverno 2023-2024, nonostante le raccomandazioni della Circolare del Ministero della Salute del 27 settembre 2023 che ha fatto seguito a quella preliminare del 14 agosto 2023. Purtroppo, al fenomeno della “stanchezza vaccinale” e alla continua disinformazione sull’efficacia e sicurezza dei vaccini, si sono aggiunti vari problemi logistico-organizzativi: ritardo nella consegna e distribuzione capillare dei vaccini, insufficiente e tardivo coinvolgimento di farmacie e medici di famiglia, mancata chiamata attiva dei pazienti a rischio, criticità tecniche nei portali web di prenotazione. E se da un lato è evidente che molti di questi problemi dipendono dalle Regioni, come documentato dal gap Nord-Sud, il confronto con i paesi europei inclusi nel report dell’ECDC dimostra che anche le Regioni italiane con i tassi di copertura più elevati sono molto indietro rispetto ai paesi europei dove la campagna vaccinale ha funzionato. Segnale evidente che della campagna vaccinale anti-COVID le Istituzioni centrali hanno parlato poco e “a bassa voce”, peraltro disturbata dal rumore di fondo di quei politici che hanno alimentato la sfiducia nei vaccini per non perdere il consenso della frangia no-vax».

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di Rossella Gemma

“I tanti tipi di stress a cui sono sottoposti gli astronauti, le variazioni a cui vanno incontro tutti gli apparati e la impossibilità di monitorare e intervenire in tempo reale in situazioni di emergenza, fanno sì che il soggiorno nello Spazio rappresenti un modello di studio per pazienti fragili, impossibilitati a muoversi e che devono mettere in atto procedure mediche in maniera autonoma”. La conferma arriva da Gianluca Trifirò, Professore Ordinario di Farmacologia all’Università di Verona e Lucia Morbidelli, Professoressa Ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Siena, entrambi soci della Società Italiana di Farmacologia - SIF - che sottolineano come “la sfida spaziale porterà a notevoli migliorie nella gestione della salute pubblica, come ha già fatto in passato con tante tecnologie innovative che ci aiutano nella vita di tutti i giorni”.

La Ricerca Spaziale Biomedica ci ha permesso di realizzare o migliorare molte tecnologie, dalle lenti antigraffio e fotocromatiche, ai termometri a infrarosso, alla analisi delle microcalcificazioni nelle mammografie, fin alle tecniche avanzate di imaging funzionale, ai microsensori ed ai dispositivi medici ad autolettura. Ma può servire anche per lo studio dei farmaci da usare sulla Terra? “Riguardo ai farmaci – spiegano Trifirò e Morbidelli - oltre all’aggiustamento del dosaggio e alla scelta dei principi attivi più adatti, una sfida riguarda le tecnologie della ricerca di nuovi medicinali in assenza di gravità e lo sviluppo di formulazioni per un uso efficace e sicuro”.

E nello Spazio, invece, che farmaci si possono e si devono assumere? “Nello spazio i farmaci servono sia per il trattamento di sintomi che si possono verificare comunemente - aggiungono dalla SIF - che per eventuali situazioni di emergenza come traumi ed emorragie. Nei kit medici forniti agli astronauti, in particolare, vengono inclusi farmaci per trattare disturbi del sonno, allergie, cinetosi spaziale, nausea, dolore e congestione sinusale. Il volo spaziale comporta alterazioni nella fisiologia umana con conseguenti modifiche farmacocinetiche, come assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione del farmaco, e farmacodinamiche, cioè l’effetto farmacologico in risposta all’interazione del farmaco con il suo specifico bersaglio molecolare. Tutto ciò può inevitabilmente avere un impatto sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci”.

Negli ultimi anni le agenzie spaziali stanno lavorando molto per ampliare gli attuali confini del volo spaziale umano con missioni anche su Marte. “La ricerca nell’ambito dell'astrofarmacia contribuisce a rendere l'esplorazione umana nello spazio sicura e accessibile. Abbiamo approfondito questo tema nell’ultimo numero di Sif Magazine (https://www.sifweb.org/sif-magazine/articolo/viaggi-nello-spazio-e-farmaci-quanto-contano-e-cosa-cambia-per-il-loro-uso-intervista-al-prof-gianluca-trifiro-e-alla-dott-ssa-federica-soardo-2024-01-25) pubblicato sul sito della Società Italiana di Farmacologia e realizzato in collaborazione con l’Unione Astrofili Napoletani”, concludono i professori Gianluca Trifirò e Lucia Morbidelli.

L’astrofarmacia si occupa dello sviluppo di farmaci e trattamenti medici utilizzabili in condizioni di microgravità e valuta la sicurezza di questi nello spazio. In Italia, pochi atenei propongono lo studio di questa materia. Tra questi vi sono l’Università degli Studi di Padova con un corso di perfezionamento “MAS - Medicina Aeronautica e Spaziale” e l’Università degli Studi di Napoli Federico II con un Master di II livello in medicina aerospaziale.

Inoltre, proprio all’Università di Verona, già a partire dagli anni ’90, il Professore di farmacologia Giampaolo Velo si era interessato alla space pharmacology come nuova frontiera della farmacologia.

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di Rossella Gemma

Al via in Italia i primi impianti dell'innovativo neurostimolatore Inceptiv™ Closed-Loop, a beneficio di pazienti con dolore cronico benigno, effettuati presso l'Azienda Ospedaliera Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta dal Dottor Pasquale De Negri, Direttore UOC di Anestesia e Rianimazione e presso l’Azienda Ospedaliera dei Colli - Monaldi di Napoli dal dottor Alfonso Papa, Direttore UOC Terapia del Dolore.  

Il nuovo dispositivo, sviluppato da Medtronic, azienda leader di HealthCare Technology, è un'evoluzione della tecnologia dei neurostimolatori per il dolore cronico. Si tratta di un vero e proprio pacemaker del dolore che viene impiantato nel corso di un intervento in anestesia locale, con una lieve sedazione e sotto controllo radiologico, per posizionare correttamente gli elettrocateteri nello spazio epidurale. La novità della tecnologia è l’algoritmo a "circuito chiuso" che rileva, 50 volte al secondo, come il corpo risponde alla stimolazione elettrica misurando l'attivazione dei neuroni all'interno del midollo spinale. I pazienti possono così beneficiare, in tempo reale, della terapia personalizzata, automatica e modulata sui loro movimenti e attività, interrompendo i segnali di dolore tra il midollo spinale e il cervello.  

“Con Inceptiv™ tutta l’esperienza terapeutica del paziente cambia grazie alla stimolazione Closed-Loop – conferma il dottor Alfonso Papa, Direttore UOC Terapia del Dolore dell’Azienda Ospedaliera dei Colli-Monaldi – La tecnologia riduce il dolore, permettendo di svolgere attività quotidiane in modo più confortevole e migliorando aspetti cruciali della vita, come il sonno, la mobilità e la partecipazione alle attività sociali”.

Oltre al nuovo algoritmo Closed-Loop, il nuovo dispositivo presenta diversi vantaggi, come la durata di 15 anni della batteria ricaricabile, minor invasività con le sue ridotte dimensioni di soli 6 mm e la sua compatibilità senza limitazioni con gli esami di risonanza magnetica sia a 1,5 Tesla sia a 3 Tesla in tutti i distretti del corpo.

“La neuromodulazione midollare è un’arma efficace a disposizione del Neurochirurgo che si occupa di patologia degenerativa della colonna vertebrale – sottolinea il dott. Nicola Montano, Responsabile UOS Neurochirurgia funzionale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma –. Nella mia pratica chirurgica utilizzo costantemente approcci e tecniche mini-invasive di decompressione e stabilizzazione della colonna vertebrale. La neuromodulazione midollare è una tecnica mini-invasiva che permette di trattare il dolore cronico associato a tali patologie anche in casi molto complessi. La tecnologia 'closed-loop' può rappresentare un notevole avanzamento in quest'ambito in quanto può permettere di "personalizzare" la terapia riducendo le sensazioni di sovra- o sottostimolazione aumentando quindi i potenziali beneficiari di questa terapia”.

Il dolore cronico rappresenta una vera e propria patologia quando ha una durata di oltre i 3/6 mesi. In Italia, soffre 1 persona su 4 e il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa, preceduto solo da Norvegia e Polonia. Per la maggior parte si tratta di donne, con un’età non superiore ai 50 anni. In Italia oltre la metà dei pazienti accede alle strutture specialistiche in modo casuale dopo molti anni di sofferenze ed esasperazione, causando un enorme costo socioeconomico pari al 2,3% del PIL, soprattutto se si considerano le sue pesanti ripercussioni sulla qualità della vita del paziente, come grave disabilità, limitazione delle capacità funzionali, lavorative e delle attività sociali.

“Medtronic ha aperto la strada alla stimolazione del midollo spinale per la gestione del dolore più di 50 anni fa – afferma Domenico De Paolis, Vice President International Neuromodulation di Medtronic, in occasione della presentazione della tecnologia ad oltre 60 medici italiani – e, da allora, abbiamo continuato a fornire innovazioni che aumentano le opzioni per i medici e personalizzano la cura per i pazienti, migliorando il sollievo dal dolore. La tecnologia di Inceptiv™ Closed-Loop introduce la capacità di ascoltare i segnali biologici unici di ciascuna persona, permettendoci raggiungere ancora una volta il traguardo che ci prefissiamo: Engineering the extraordinary”.

La neurostimolazione midollare consiste nella stimolazione elettrica selettiva del midollo spinale tramite elettrocateteri impiantati nello spazio epidurale e connessi a un generatore di impulsi, un vero e proprio pacemaker del dolore.

Oggi, la neurostimolazione midollare viene raccomandata ai pazienti con dolore cronico neuropatico da danno dei nervi periferici, da neuropatia diabetica, da insuccesso della chirurgia vertebrale, da nevralgia post erpetica, da lesioni parziali del midollo spinale, da sindrome dolorosa dell’artofantasma, da lesioni del plesso brachiale, da dolore ischemico degli arti e da angina pectoris grave e da dolore delle sindromi regionali complesse.

La validità di questa procedura nel trattamento del dolore cronico è stata riconosciuta a livello internazionale e ha generato raccomandazioni nelle linee Guida della Federazione Europea delle Società Neurologiche (EFNS) e della National Institute for Clinical Excellence (NICE). Ciononostante, si assiste, nel nostro Pease, a un sotto trattamento dei pazienti che potrebbero beneficiare della terapia di neurostimolazione, con un miglioramento della qualità di vita e una riduzione del ricorso ai farmaci antidolorifici e terapie complementari. In Italia, ogni anno, 1200 pazienti circa si sottopone ad un impianto di neurostimolazione midollare.

 

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di Rossella Gemma

Monitorare a distanza i pazienti con fibrosi cistica grazie alle nuove possibilità di comunicazione offerte dalla telemedicina. E' quanto succede, da qualche tempo, all'ospedale pediatrico Bambino Gesù-Irccs di Roma. Sergio Bella, dirigente medico I livello presso presso l'Unità operativa complessa di pneumologia e fibrosi cistica, oltre che presidente dell'Associazione italiana di telemedicina e informatica medica (Aitim), e Alessandro Onofri, dirigente medico della U.O.C. Pneumologia Pediatrica e Fibrosi Cistica Terapia Semintensiva Respiratoria, Medicina del Sonno e Ventilazione a lungo termine del nosocomio romano, ne hanno parlato nell'ambito del corso di aggiornamento 'Casi clinici (e non solo) in pediatria: dall'ospedale al territorio andata e ritorno', organizzato sabato scorso dall'Ordine provinciale dei medici-chirurghi e degli odontoiatri di Roma.
 
Un corso, andato sold out, in cui si è fatto innanzitutto il punto su intelligenza artificiale e telemedicina come nuove frontiere della pediatria portando, tra le altre, proprio l'esperienza del Bambino Gesù. Un'esperienza che dimostra "quanto le potenzialità delle nuove tecnologie possano essere importanti per contribuire a migliorare la qualità della vita dei pazienti anche, per esempio, riducendo gli spostamenti delle famiglie che si trovano fuori città o fuori regione", commenta Valentina Grimaldi, pediatra di famiglia-psicoterapeuta, consigliera Omceo Roma e responsabile scientifico del convegno insieme a Piero Valentini, direttore Uosd di Malattie Infettive Pediatriche presso il Policlinico Gemelli di Roma. E proprio dal Gemelli arriva un altro importante esempio di monitoraggio da remoto dei piccoli pazienti illustrato nell'ambito del corso di aggiornamento: l'utilizzo di un dispositivo per il controllo a distanza della bronchiolite.
 
"Quando il paziente viene dimesso, gli viene affidato un apparecchio, simile a un fondoendoscopio, che serve per controllare la respirazione- è stato spiegato nel corso del convegno- le rilevazioni dello strumento vengono trasmesse in tempo reale sul computer del medico che può così monitorare lo stato del paziente".
 
"Non è uno strumento che sostituisce la visita medica programmata- precisa Grimaldi- ma permette il monitoraggio costante dei piccoli pazienti e che potrebbe essere applicato anche nell'ambito dell'assistenza primaria".
 
Esperienze, quelle del Bambino Gesù e del Gemelli, che dimostrano quanto la tecnologia possa essere di supporto all'attività del medico e sottolineano anche l'importanza della comunicazione tra le varie figure professionali affinché possa essere favorito un dialogo effettivo ed efficace tra ospedale e territorio. Un obiettivo per raggiungere il quale "è però anche necessario un impegno istituzionale affinché strumenti e formazione vengano adeguatamente messi a disposizione dei professionisti sanitari", si è sottolineato nel corso della tavola rotonda che ha accompagnato il convegno e a cui ha preso parte Danilo Fusco, dirigente Area sistemi informativi logistica sanitaria e coordinamento acquisti della Regione Lazio che aveva aperto la prima sessione con una relazione sulle terapie digitali.
 
Un punto evidenziato anche da Giovanni Leonardi, segretario generale del ministero della Salute, che ha sottolineato come la telemedicina sia una grande risorsa per la sanità ma senza dimenticare che non sostituirà mai l'operato umano "perché ci vuole sempre la competenza delle persone per far sì che le tecnologie siano utilizzate a vantaggio della popolazione e diventino alleate dei medici".
 
Il recente accesso all'anagrafe vaccinale, per esempio, che ha consentito ai pediatri del territorio di attivare tanti recuperi vaccinali tra i propri pazienti, è un altro esempio di quanto la tecnologia possa andare a supporto dei professionisti sanitari non solo nel monitoraggio ma anche nelle attività di prevenzione.
 
Del resto, come sottolineato da Pietro Luigi Rotili, pediatra di libera scelta della Asl Roma 3, "i pediatri del territorio sono ormai tutti informatizzati e possono contribuire con i dati che hanno a programmi di prevenzione ed epidemiologia".
 
Di contro, tra i punti evidenziati nell'ambito della tavola rotonda c'è stata anche la necessità di uniformare il territorio nazionale dal punto di vista della dotazione tecnologica per quanto riguarda le famiglie. "Non in tutto il Paese i nuclei hanno la stessa possibilità di accesso alle tecnologie- ha evidenziato ancora Grimaldi- esistono zone disagiate in cui la connessione a internet non funziona adeguatamente così come esistono nuclei sprovvisti di computer".
 
Nella seconda parte del corso di aggiornamento sono stati poi presentati una serie di casi clinici e affrontati, in un intenso dibattito, argomenti pediatrici emergenti come i disordini dello sviluppo sessuale o le problematiche poco note relative alla salute dei bambini migranti, dalle mutilazioni genitali alla circoncisione rituale. Il tutto affrontato sempre dal punto di vista dell'ospedale e del territorio.