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di Rossella Gemma

In merito alla circolazione dell’influenza aviaria, si precisa che è sotto controllo come previsto dal PanFlu che oggi è il piano in vigore fino alla definitiva approvazione del Piano pandemico per il controllo dei virus respiratori.
Il PanFlu, in ogni caso, mantiene attivo un sistema capillare di sorveglianza dei virus respiratori (RespiVirNet) che si basa sulle rilevazioni dei Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta e Laboratori di Riferimento Regionale. La sorveglianza è coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il sostegno del Ministero della Salute. Dai dati di questa sorveglianza, l’incidenza delle sindromi simil-influenzali (ILI) è in lieve aumento rispetto alla settimana precedente con un livello pari a 7,8 casi per mille assistiti (7,2 nella settimana precedente), ma minore di quello osservato nella stessa stagione dello scorso anno (9,7 nella settimana 2023-47). Questo per chiarire che i dati vanno letti nella loro interezza.
 
Le sindromi simil-influenzali, in questo momento, risultano essere sostenute dalla co-circolazione di diversi virus respiratori come dimostrato dalla sorveglianza virologica che, in queste settimane, rileva che la circolazione dei virus influenzali si mantiene ancora a bassi livelli: solo 1,6% dei campioni sono risultati positivi ai virus influenzali, mentre tutti gli altri risultano positivi per altri virus respiratori tra cui Rhinovirus, virus parainfluenzali, SARS-CoV-2 ecc.
Rispetto al piano pandemico, il Ministero della Salute, attraverso il Dipartimento di prevenzione, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, ha operato ogni possibile valutazione e approfondimento nonché con sollecitudine al fine di arrivare ad approvare una versione che correggesse anche quei possibili errori messi in evidenza dalle esperienze passate. Affinché i ricercatori e i clinici del Dipartimento di Prevenzione e dell’Istituto superiore di sanità apportassero le modifiche finalizzate a renderlo operativo e approvabile, è stato necessario del tempo. Con la legge di bilancio in corso di approvazione, si finanzia l’attuazione del Piano come richiesto anche dalle Regioni. A breve, infine, il Piano sarà sottoposto alla Conferenza Delle Regioni per la necessaria concertazione e una volta finanziato e concordato con le Regioni diventerà un utile strumento per la prevenzione delle infezioni respiratorie, oltreché un baluardo per la difesa dalle pandemie.
 
In conclusione, Il Ministero della Salute attraverso il Dipartimento di prevenzione e l’Istituto superiore di sanità, insieme ai migliori ricercatori e clinici nazionali sta lavorando per la chiusura di un Piano che sia un punto di forza dell’intero sistema sanitario nazionale.

 

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di Rossella Gemma

Da una parte, l’aumento dei casi di tumore che, secondo le stime, sono cresciuti in maniera imponente, con circa 395mila nuove diagnosi nel 2023 e un incremento di 18.400 casi ogni 12 mesi dal 2020. Dall’altra, un netto miglioramento nell’efficacia della prevenzione e delle cure che, in 13 anni, si stima abbiano permesso di evitare oltre 268mila decessi. In questo contesto, l’oncologia italiana si trova a un punto di svolta, con avanzamenti senza precedenti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori. Le scoperte nei checkpoints immunologici, nella genomica e nei trigger points tumorali hanno delineato nuovi scenari che fino a qualche tempo fa erano inimmaginabili, portando a terapie estremamente mirate ed efficaci. Tuttavia, questi progressi scientifici devono confrontarsi con sfide cruciali di sostenibilità e accesso.

Il modello mutazionale ha avuto un impatto significativo sui sistemi sanitari, ridefinendo ambiti e competenze professionali. Ma l’innovazione diagnostica e terapeutica rischia di non esprimere tutta la propria efficacia senza un sistema in grado di accoglierla e implementarla. Problemi come l’early access alle terapie innovative, il disallineamento tra diagnostica e farmaci, e le difficoltà di rimborsabilità per le terapie target richiedono interventi urgenti.

Per quanto riguarda la sostenibilità della spesa, né la costituzione dei fondi sovraregionali dedicati ai farmaci innovativi, né la riunione dei 2 fondi in un unico fondo, né l’eventuale avanzo del fondo restituito alle regioni (non vincolato) sembrano aver risolto le molte criticità, né la recente allocazione di una parte del fondo per i farmaci a innovatività condizionata. Preoccupazione costante di ogni Regione è quanto possa accadere quando decadrà il periodo di riconoscimento dell’innovazione delle terapie che garantisce una spesa a carico dello Stato.

Sono i dati emersi dall'evento di Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Centro Diagnostico Italiano (CDI) e Gilead che ha riunito a Firenze i massimi esperti del settore con l’obiettivo di discutere criticità, condividere buone pratiche e delineare un futuro sostenibile per l’oncologia italiana.

Secondo le stime, circa il 40% dei nuovi casi di tumore sono potenzialmente prevenibili in quanto correlati a fattori di rischio modificabili. Tra questi, sicuramente, c’è il fumo.  Ed è un dato di fatto che in Italia ci siano milioni di fumatori che non vogliono oppure non riescono a smettere. Diventa allora fondamentale ragionare sulle strategie di riduzione del rischio, valutando l’opportunità di passare a prodotti privi di combustione.

“Negli ultimi anni – ricostruisce Silvio Festinese, Coordinatore Responsabile Cardiologia Ambulatoriale Area Ospedale S.Spirito ASL Roma I e Coordinatore Cattedra di Farmacologia International Medical University “Unicamillus” Rome – abbiamo avuto tre trial e una revisione sistematica pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali da cui emergono alcune prime, importanti, evidenze del fatto che l’uso della e-cigarette ai fini della cessazione dell’abitudine tabagica sia migliore della terapia medica basata sull’uso sostitutivo dei farmaci”. Questo, secondo Festinese, “deve farci riflettere sui consigli da dare nella clinica pratica nell’approccio ai pazienti fumatori”. Ovviamente, e il professor Festinese lo sottolinea “in maniera tassativa, è meglio non fumare. Ma per coloro che non vogliono, non riescono, oppure hanno già fallito anche con altre vie, dobbiamo chiederci se non sia possibile, nei casi di tabagismo, quantomeno ridurre il rischio, sia cardiovascolare che oncologico, così come avviene per altri fattori come l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia”.

Uno dei focus della giornata di lavori, in cui si è fatto il punto sulle principali terapie innovative, dalle Car-T a quelle per il tumore del seno, ha riguardato il tumore alla prostata. “Ogni anno in Italia circa 44.000 persone si ammalano di tumore della prostata. In questo scenario – ha spiegato il dottor Giancarlo Beltramo, Direttore del Centro Cyberknife CDI - la radioterapia a fasci esterni è una consolidata alternativa non invasiva al trattamento chirurgico, rispetto al quale offre pari efficacia in termini di controllo di malattia e sopravvivenza globale. La continua innovazione tecnologica nell’ambito della radioterapia – ha proseguito Beltramo - ha permesso di sviluppare nuove tecniche di irradiazione nell’ambito del tumore della prostata tra cui i trattamenti stereotassici”.

Il Cyberknife rappresenta una soluzione tecnologica unica nel suo genere. “L’accuratezza e la precisione del trattamento stereotassico con Cyberknife - ha sottolineato ancora Beltramo - non solo permette una riduzione significativa dell’irradiazione dei tessuti sani adiacenti al tumore, prerogativa per una minore tossicità e una migliore qualità della vita del paziente, ma, grazie alla precisione sub millimetrica del sistema robotico, consente di erogare elevati  livelli di dose di radiazione concentrati sul bersaglio tumorale, prerogativa per un miglior controllo locale di malattia e di una maggiore sopravvivenza. Il trattamento radiochirurgico con Cyberknife ha permesso quindi di offrire ai pazienti affetti da tumore della prostata, trattamenti sicuri, veloci ed efficaci che possono costituire una nuova valida opzione terapeutica”.

“Il tumore alla prostata - ha spiegato Claudio Talmelli, presidente di Europa Uomo - rappresenta il 20% circa delle malattie oncologiche che affliggono il maschio, con circa 564mila soggetti affetti attualmente. Un vero e proprio esercito”. Con riflessi importanti non soltanto per il malato, “ma anche per tutte le famiglie. Milioni di persone coinvolte” in un problema di cui, “non si parla abbastanza, perché la malattia porta con sé una forma di stigma”. Dal punto di vista diagnostico, una svolta fondamentale è rappresentata dalla risonanza magnetica multiparametrica. “L’individuazione del tumore con la biopsia – ha spiegato Talmelli – oltre ad essere dolorosa, ha sempre comportato alcune difficoltà legate innanzitutto alla posizione della prostata, nascosta sotto la vescica. La risonanza magnetica nucleare tridimensionale e multiparametrica ha reso possibile una scansione che dà anche la profondità, e questo rappresenta un grandissimo successo perché è in grado di identificare un eventuale tumore in maniera precisa. Tutti i nuovi studi sono orientati su una tecnica di indagine che parta dal Psa e, successivamente, nel caso in cui questo sia alterato, arrivi alla risonanza magnetica multiparametrica. Il problema è che non tutte le realtà dispongono di questo tipo di macchinario. Ma sicuramente abbiamo fatto un passo avanti fondamentale per quanto riguarda gli screening, con la possibilità di salvare molte vite. Individuando prima i tumori è poi possibile mettere in campo interventi più blandi per il paziente, a cui è garantita una qualità della vita migliore”. Un aspetto tutt’altro che irrilevante, se si considera che la previsione di sopravvivenza di chi sia ammalato di tumore alla prostata “è del 91% a cinque anni, all’82% a dieci anni”.

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di Rossella Gemma

Il benessere dell’intero organismo regolato dall’asse intestino-cervello. Una connessione complessa e affascinante, al centro del convegno “Asse intestino-cervello: What’s new?”, organizzato oggi da Spazio Vita Niguarda S.C.S. Onlus presso la sede dell’organizzazione all’interno dell’Ospedale Niguarda di Milano. Un incontro che ha riunito esperti di farmacologia, psicologia, nutrizione e medicina per tracciare un quadro aggiornato di questa comunicazione bidirezionale, capace di influenzare non solo il corpo ma anche la mente.

Ad aprire i lavori, il prof. Giorgio Racagni, past president della Società Italiana di Farmacologia, che ha esplorato i meccanismi che regolano il dialogo tra intestino e cervello. Al centro, il microbiota intestinale: un ecosistema di miliardi di microrganismi che, attraverso metaboliti specifici, influenza direttamente l’attività cerebrale. “Alcuni ormoni e neurotrasmettitori giocano un ruolo fondamentale in questa connessione, e tra questi spicca la serotonina”, ha spiegato Racagni, sottolineando come questa molecola, presente nelle cellule endocrine dell’intestino, agisca sia come ormone che come neurotrasmettitore, coinvolgendo praticamente tutte le aree del cervello.

Nel corso della mattinata sono stati affrontati anche altri temi cruciali, come i legami tra epilessia e microbiota e il ruolo dei prodotti naturali nel supporto al benessere gastroenterico.

Il prof. Giorgio Donegani, tecnologo alimentare ed esperto di educazione alimentare, ha approfondito le connessioni tra sindrome dell’intestino irritabile, alimentazione e integrazione nutrizionale. “L’intestino è un organo che per grandezza, potrebbe ricoprire la superficie di un campo da tennis, ed è molto più esposto di quanto pensiamo”, ha evidenziato Donegani, ricordando l’importanza di una dieta equilibrata per favorire la crescita di un microbiota sano. “Ogni individuo è unico, e un’alimentazione personalizzata è un pilastro essenziale per il benessere dell’asse intestino-cervello”.

Spazio Vita Niguarda, realtà accreditata per le Cure Domiciliari (ex ADI) dalla Regione Lombardia, non si limita a promuovere convegni come quello di oggi, ma lavora quotidianamente per diffondere una cultura della salute basata su educazione e multidisciplinarità. “È fondamentale creare eventi accessibili e scientificamente accurati, che offrano strumenti concreti per una maggiore consapevolezza”, ha sottolineato la dott.ssa Tiziana Redaelli, vicepresidente della Onlus.

Tra i prossimi appuntamenti in programma, un convegno dedicato alla spina bifida, con un focus particolare sulla prevenzione non solo primaria ma anche secondaria. “Non vogliamo limitarci alla prevenzione primaria evitando la nascita di bambini con spina bifida – ha precisato a margine dell’incontro la dott.ssa Redaelli – ma vogliamo concentrarci sulla prevenzione secondaria, cioè tutto ciò che è necessario mettere in atto a livello sanitario, psicologico e sociale nel percorso di vita delle persone affette da questa patologia, dall’infanzia fino all’età adulta”.

Spazio Vita Niguarda nasce nel 2013 ed è il frutto dell’unione di due realtà associative attive da diversi anni all’interno dell’Unità Spinale Unipolare dell’Ospedale Niguarda Ca’ Grande di Milano: AUS Associazione Unità Spinale Niguarda Onlus e ASBIN Associazione Spina Bifida e Idrocefalo Niguarda Onlus. Situata presso l’Ospedale Niguarda di Milano, Spazio Vita si dedica al miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità motorie, sia congenite che acquisite. Fondata in collaborazione con l’Unità Spinale Unipolare e con il supporto dell'ospedale, offre servizi che spaziano dal supporto socio-sanitario al reinserimento sociale e lavorativo. Tra le attività proposte ci sono corsi di formazione, assistenza psicologica e sociale, percorsi di sviluppo dell’autonomia, un Centro di Aggregazione Disabili con numerose attività laboratoriali e ludico ricreative e un polo di ricerca e sviluppo chiamato TECHLAB, che esplora soluzioni innovative per l'autonomia delle persone con disabilità, come la domotica e la stampa 3D. Inoltre, Spazio Vita promuove una forte inclusione sociale attraverso collaborazioni con aziende, progetti culturali e percorsi di integrazione personalizzati per facilitare l'indipendenza e la partecipazione attiva. Per maggiori informazioni: www.spaziovitaniguarda.it

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di Rossella Gemma

La Medicina e la chirurgia rigenerativa rappresentano una vera e propria frontiera nella cura delle patologie degenerative e croniche. Hanno come obiettivo principale la riparazione di organi e tessuti danneggiati da invecchiamento, eventi patologici o traumi per ripristinarne e migliorarne il funzionamento.
 
Da cinque anni nell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli le tecniche di medicina rigenerativa rientrano nella pratica clinica della chirurgia vascolare, tese alla rigenerazione delle ulcere che colpiscono gli arti inferiori. Si tratta di un nuovo approccio che non contempla l’uso di un farmaco ma consente, tramite procedure specifiche, di riprodurre le cellule che servono a rigenerare i tessuti direttamente dal paziente.
 
In chirurgia vascolare la medicina rigenerativa si avvale di terapie cellulari e di biomateriali che permettono la formazione di un neo-derma ben vascolarizzato che viene ripopolato dalle cellule del paziente. Un tessuto ‘malato’, tuttavia, necessita di una terapia cellulare vera e propria per poter agire.  Nel trattamento dell’ischemia all’arto, ad esempio, sono note le capacità neo-angiogenetiche e neo-arterogenetiche delle cellule mononucleate del sangue periferico.
 
Queste cellule vengono estratte dal sangue del paziente stesso (cosiddette “autologhe”) attraverso un processo di filtrazione selettiva del sangue periferico, il Monocell, che permette, con la minima invasività di un semplice prelievo ematico, di ottenere un concentrato di mononucleate autologhe. Una volta che vengono infiltrate lungo l’arto ischemico, queste cellule permette la formazione di vasi collaterali nonché l’aumento del diametro dei vasi sanguigni esistenti. In questo modo si fornisce un’opportunità di salvataggio dell’arto a quei pazienti per i quali non restano opzioni terapeutiche tradizionali. Grazie a questa terapia, diminuisce il rischio di amputazione, vengono controllati efficacemente dolore e infiammazione e viene migliora la qualità di vita del paziente.
 
“Il paziente diventa una specie di ‘cell factory’ – spiega il dottor Enrico Cappello, responsabile della Chirurgia Vascolare ed Endovascolare II – perché riusciamo ad indurre, sulla lesione, la produzione delle cellule necessarie per la riparazione tissutale. Non si tratta solo di creare una cicatrice, cioè un tappo davanti a un buco, per fare una semplice analogia: significa rigenerare la funzione della pelle al livello della lesione ulcerativa. La pelle è infatti un tessuto molto complesso che ha molte funzioni, basti pensare all’ossigenazione dei tessuti oppure alla gestione dell’impatto termico (con la sudorazione), all’elasticità”.
 
Oggi quindi accanto alle tecniche chirurgiche per il trattamento delle lesioni degli arti inferiori, rappresentate dalle cosiddette rivascolarizzazioni, utilizzate per migliorare l’apporto di sangue e ossigeno al livello della lesione, o dalla tecnica della compressione che si utilizza per esempio all’interno di alcuni quadri patologici delle flebo-patie, la Medicina rigenerativa rappresenta una nuova frontiera che fornisce più opzioni terapeutiche e che per questo consente di trattare e di gestire sempre più pazienti.
 
“Trasformare il nostro organismo in un piccolo laboratorio - continua Cappello - di fatto personalizza la cura, perché prendiamo, lavoriamo e impiantiamo i fattori autologhi del paziente. All’interno del nostro Istituto abbiamo diversi filoni di ricerca nell’ambito della Medicina rigenerativa: dall’utilizzo delle cellule mononucleate alle cellule staminali, fino ai più nuovi ritrovati, come i fattori di crescita piastrinici ad alto dosaggio, che vengono estrapolati dal sangue del paziente e vengono impiantati a livello della lesione. Questo ci porta a studiare nuove prospettive terapeutiche, contrastando le problematiche legate alle lesioni degli arti inferiori, quindi cercando di evitare il più possibile la perdita dell’arto e lo sviluppo di comorbidità che impattano in maniera significativa sulla qualità della vita dei pazienti”.
 
“La rigenerazione dei tessuti in vivo – dice il dottor Francesco Pompeo, responsabile della Chirurgia Vascolare e Diagnostica I e Coordinatore SIMCRI Regione Molise - permette quindi non solo di far guarire la ferita, ma di preservare tutte le funzioni di quel tessuto. Siamo stati tra i primi Centri a testare quanto la neo-angiogenesi sia cruciale nel processo di rigenerazione per le lesioni degli ari inferiori. Con essa riusciamo a migliorare l’apporto ematico nella sede della lesione dopo aver provveduto a rivascolarizzare le arterie ostruite. Ma questa tecnica può anche ampliare il numero di casi da poter trattare, anche quelli più difficili. Un approccio in continua evoluzione di cui si occupa la SIMCRI – Società Italiana di Medicina e Chirurgia rigenerativa - e che può essere ad appannaggio delle patologie artrosiche, ortopediche, plastiche, ginecologiche, odontoiatriche oltre che vascolari”.
 
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di Rossella Gemma

Il 20% degli italiani non riceve alcun invito a fare screening. E dei cittadini che vengono coinvolti, 1 su 3 ha difficoltà a partecipare i controlli e 1 su 5 rinuncia alla prevenzione a causa di orari incompatibili, liste d’attesa e difficoltà logistiche del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Sono solo 6 su 10 quelli che vengono messi in condizione di portare a termine i controlli di prevenzione.

È quanto emerge dai dati del Barometro del Patient Engagement, la prima indagine nazionale sulla percezione del coinvolgimento attivo degli italiani nel proprio percorso di cura, realizzata da Helaglobe con il comitato scientifico composto da Paolo Petralia, Direttore Generale ASL 4 Liguria, Caterina Rizzo, Ordinario di Igiene Generale e Applicata all’Università di Pisa - AOU Pisana, Matteo Scortichini, Ricercatore Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università Roma “Tor Vergata”, Vito Montanaro, Consigliere AIFA e Direttore Dipartimento Salute Regione Puglia, e Alessandra Ferretti, Referente Comunicazione istituzionale Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare Regione Emilia-Romagna. A commentare i dati anche Gennaro D’Agostino, Direttore Sanitario ASL Roma 1.

«Il quadro che viene delineato dai tanti dati che abbiamo raccolto con i questionari sottoposti ad un campione di circa 3mila cittadini in tutte le Regioni, è quello di una sanità costantemente sollecitata ma che si preoccupa poco di coinvolgere i cittadini, di ascoltare le loro esigenze e di prendere in considerazione le loro proposte di miglioramento. Prescrive visite ed esami, suggerisce screening, ma poi in molti casi abbandona il paziente a sé stesso senza metterlo in condizione di seguire quelle indicazioni», dice Davide Cafiero, managing director di Helaglobe.

Nella ricerca spicca l’87% dei cittadini che afferma di non essere mai stato coinvolto in indagini sulla qualità del servizio di ospedali o di strutture sanitarie o in gruppi di lavoro specifici per progettare e migliorare tali servizi. Questo, a fronte di un 35% che ha trovato difficile o molto difficile prenotare esami o visite. E anche a livello di singoli professionisti sanitari si rispecchia questa mancanza di partecipazione con il 22% dei pazienti che dichiara di non venire mai coinvolto dal proprio medico nelle decisioni sulla propria salute e un 40% che viene coinvolto saltuariamente, nonostante da parte di quasi tutti i cittadini ci sia il desiderio di partecipare ed essere ingaggiato nelle scelte pur rispettando le scelte effettuate dai camici bianchi.

«Coinvolgere i pazienti non è solo una questione etica, ma è fondamentale per l'efficienza del sistema sanitario. Quando i pazienti sono informati, educati e coinvolti attivamente nelle decisioni terapeutiche, il tasso di adesione alle terapie e il rispetto delle prescrizioni migliorano sensibilmente riducendo ricoveri e accessi al pronto soccorso», afferma Matteo Scortichini, Ricercatore Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università Roma “Tor Vergata”.

«Le difficoltà organizzative segnalate dall’indagine così come la gestione del tempo e gli impegni personali, evidenziano la necessità di rivedere i modelli di erogazione degli screening prevedendo la possibilità di organizzare appuntamenti flessibili in luoghi prossimi al domicilio o al lavoro della popolazione target, promuovere campagne informative più efficaci e assicurare una comunicazione diretta con gli utenti per migliorare la partecipazione» commenta Caterina Rizzo, Professore Ordinario di Igiene Generale e Applicata Università di Pisa – Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.

«Ascoltare, per chi deve elaborare strategie di governo dell’offerta sanitaria, significa avere un canale sempre aperto con i cittadini e coinvolgere nei tavoli tecnici i rappresentanti delle associazioni di pazienti. Informare, nel Terzo Millennio, vuol dire utilizzare anche web, social e tutti gli strumenti che l’evoluzione del digitale mette a nostra disposizione» spiega Vito Montanaro, Consigliere d’amministrazione dell’Aifa e direttore del Dipartimento Salute della Regione Puglia.

«Tre azioni per coinvolgere meglio i pazienti nella sanità: primo, un’azione di educazione sanitaria nei confronti del grande pubblico, che trasmetta in modo coinvolgente, attraverso la scuola e i canali dell’informazione, processi, dubbi, successi e fallimenti della scienza. Secondo, un potenziamento della preparazione sul Patient Engagement alla Facoltà di Medicina e Chirurgia e Infermieristica e una formazione continua degli operatori sanitari. Terzo, l’assunzione di una prospettiva “di complessità” da parte di tutti gli agenti coinvolti, i quali siano consapevoli che il valore aggiunto del sistema viene dall’interazione delle sue componenti ancora prima che dal contributo delle sue componenti prese singolarmente» propone Alessandra Ferretti, Referente Comunicazione istituzionale Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare Regione Emilia-Romagna.

«Il digitale rappresenta certamente uno dei driver di trasformazione dell’intero ecosistema salute. Resta chiaro che questo strumento deve però coniugarsi con l’obiettivo di ingaggio dei cittadini a riorientare ogni aspetto gestionale-organizzativo verso la centralità della persona che poi è, il vero motore di cambiamento dell’intero sistema salute. Il Patient Engagement è certamente la coordinata dentro la quale ritrovare consapevolezza e responsabilità del cittadino, inteso come “cittadino - paziente”, perché è evidente che il suo esserci significa esserci in maniera matura ed in maniera informata» riflette Paolo Petralia, Direttore Generale ASL 4 Liguria.

 

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di Rossella Gemma

La nuova frontiera dell’emergenza medica è già qui: le prime 100 unità Ambulance.AI sono pronte a entrare in servizio per ARES Lazio. E’ stata presentata oggi a Welfair, la Fiera del Fare Sanità, in programma alla Fiera di Roma fino al 7 novembre, “Ambulance.AI”, che trasforma le ambulanze in centrali di telemedicina mobili, connesse in tempo reale con le centrali operative per migliorare la rapidità e l’efficacia degli interventi d’emergenza.
 
Attraverso l’integrazione di intelligenza artificiale e tecnologia blockchain, ogni Ambulance.AI consente la trasmissione continua e sicura di immagini e dati medici, permettendo consulti istantanei con specialisti ospedalieri. Questa tecnologia avanzata consente il monitoraggio costante dei parametri vitali dei pazienti, migliorando la tempestività e la precisione delle cure già nel tragitto verso l’ospedale. “Ambulance.AI rappresenta una svolta per la sicurezza dei pazienti e degli operatori, ottimizzando le risorse delle aziende sanitarie e il tempo dei medici specialisti – dichiara Ido Miglioranza, CEO di Emerland.AI e ideatore del progetto - La nostra ambulanza del futuro è progettata come una piattaforma scalabile, pronta a ospitare servizi sempre più evoluti e a supportare anche le cure domiciliari”.
 
Questa innovazione punta a una sanità più sostenibile: la gestione ottimizzata degli interventi ridurrà i ricoveri ospedalieri non necessari e migliorerà la qualità della vita dei pazienti, delle loro famiglie e dei soccorritori. Inoltre, permette un utilizzo mirato degli specialisti, connessi in tempo reale tramite la centrale operativa, migliorando l’efficienza delle cure e riducendo il rischio clinico. Le sfide del trasporto sanitario – dalla complessità delle attrezzature elettromedicali all’operatività in movimento – trovano finalmente una risposta grazie ad Ambulance.AI, che introduce un modello scalabile, capace di adattarsi e crescere con le necessità della sanità moderna.
 
 
 
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di Rossella Gemma

Sono consapevoli di doversi proteggere dalle infezioni più note e ricorrenti, ossia influenza e Covid, per le quali si sono vaccinate in oltre il 75%. Invece, nei confronti di altre malattie infettive, meno frequenti ma per loro potenzialmente molto pericolose, il livello di guardia delle persone con diabete resta ancora basso: meno del 40% si è sottoposto ai vaccini contro tetano, morbillo/parotite/rosolia, polmonite, pertosse, difterite, meningite, Herpes Zoster e virus respiratorio sinciziale. È questa la fotografia scattata dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD) nell’ambito di una survey condotta su 430 dei propri assistiti, con l’obiettivo di capire il loro atteggiamento nei confronti dei vaccini: quali conoscono, quali hanno eseguito e, se non ne hanno eseguiti, per quali motivi. I risultati della survey, presentati oggi in una conferenza stampa a Milano, hanno rilevato l’esigenza avvertita dalle persone con diabete di sentirsi consigliare più spesso, dai propri medici, le vaccinazioni a loro raccomandate. Per contribuire a colmare questo gap informativo, AMD ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Con il diabete vacciniamoci” che vivrà nei centri di diabetologia di tutta Italia e sui canali social societari. L’iniziativa è sponsorizzata in modo non condizionante da GlaxoSmithKline S.p.A.

“Rispetto alla popolazione generale, le persone con diabete hanno maggiori probabilità di contrarre un’infezione [i], un rischio quattro volte superiore di ricovero ospedaliero[ii] a seguito dell’infezione e un rischio doppio di decesso[iii], spiega Riccardo Candido, Presidente Nazionale AMD, tra i relatori della conferenza stampa. “Le malattie infettive possono anche causare un aumento temporaneo della glicemia, peggiorando la gestione del diabete stesso. Questi rischi non riguardano solo le infezioni più note, ma anche altre, spesso sottovalutate perché considerate più rare, come il Fuoco di Sant’Antonio (o Herpes Zoster), la polmonite pneumococcica, la meningite batterica, l’epatite B.  Le vaccinazioni che permettono di difendersi da queste patologie sono, quindi, strumenti di salute irrinunciabili per chi convive con il diabete. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025, infatti, prevede per loto l’offerta gratuita dei vaccini Antinfluenzale e Anti-SARS-CoV-2, Anti-pneumococcico, Anti-Herpes Zoster, Antimeningococcico, Anti-Epatite B, Anti-Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) e anti-Varicella”.

Al questionario proposto da AMD ai propri pazienti per sondare la loro conoscenza su questi temi, hanno risposto in 430, da tutto il Paese, per oltre il 50% over cinquantenni, 62% donne, 38% uomini, 60% con diabete tipo 1 e quasi 40% con tipo 2. “Quando abbiamo chiesto quali fossero, secondo loro, le vaccinazioni raccomandate alle persone con diabete, la stragrande maggioranza degli intervistati ha risposto Antinfluenzale e Anti-Covid, citate rispettivamente dall’81% e dal 65% del campione”, illustra Marcello Monesi, Segretario del Consiglio Direttivo Nazionale AMD e componente del board nazionale diabete e vaccini AMD. “A ‘metà classifica’ Anti-pneumococcica (52%) e Anti-Herpes Zoster (45%); chiudono, citati da meno del 30% dei rispondenti, i vaccini per tetano, meningite, morbillo/parotite/rosolia, virus respiratorio sinciziale, pertosse e difterite. Osservando i dati sulle vaccinazioni effettivamente eseguite, dopo Covid e influenza, per cui riferisce di essersi vaccinato rispettivamente l’84% e il 75% del campione, tutte le altre patologie registrano tassi di immunizzazione sotto il 40%, con Herpes Zoster e meningite addirittura sotto il 20%”.

“Risulta evidente – prosegue l’esperto – come occorra far crescere la consapevolezza dei nostri pazienti circa i rischi cui sono esposti in caso d’infezione. Con il Fuoco di Sant’Antonio, ad esempio, vi è un rischio aumentato di andare incontro a ulteriori gravi patologie come l’ictus. Ma i pazienti non lo sanno. Il 24% degli intervistati che non si sono sottoposti a vaccinazioni ritiene di non avere sufficienti informazioni e quasi il 20% di non aver ricevuto specifiche raccomandazioni da parte del proprio medico curante. Il 92% di tutti i rispondenti, inoltre, vorrebbe ricevere questa sollecitazione proprio dal diabetologo, il cui consiglio, anche in tema di vaccinazione, ha un peso specifico molto importante. Il team diabetologico dovrebbe, quindi, lavorare per l’empowerment della persona con diabete, non solo sulla gestione della terapia, il monitoraggio glicemico, l’alimentazione e l’attività fisica, ma anche sull’opportunità di vaccinarsi perché questo aspetto concorre altresì a migliorare i suoi outcome di salute”.

“Proteggersi dalle malattie infettive e dal maggior rischio di un loro decorso grave deve essere una priorità delle persone con diabete”, aggiunge Riccardo Candido. “L’esigenza di maggiore informazione in proposito, emersa dalla survey, è il motivo per cui abbiamo deciso di lanciare la campagna di sensibilizzazione ‘Con il diabete vacciniamoci’ che intende ribadire l’importanza della prevenzione vaccinale, rivolgendosi a persone con diabete, associazioni pazienti, caregiver e Istituzioni. Vivrà negli ambulatori di diabetologia di tutt’Italia, con la distribuzione di locandine e brochure informative, e sui nostri canali social. Ma servirà anche un’attività di formazione verso i diabetologi per indurli ad affrontare il tema con i pazienti durante l’attività ambulatoriale. Sarà sempre più necessario collaborare con i dipartimenti di prevenzione per creare, anche all'interno delle strutture di diabetologia, percorsi dedicati all’immunizzazione grazie ai quali, in giornate ad hoc, le persone con diabete possano valutare le vaccinazioni da loro già eseguite e programmare quelle necessarie”.

“Anche la nostra Associazione, che raccoglie impressioni, richieste e dubbi delle persone con diabete, in linea con i risultati della survey AMD, ha ricevuto il feedback di una mancanza d’informazione sul tema delle vaccinazioni”, evidenzia Marcello Grussu, Vicepresidente di Diabete Italia. “Escluse le patologie più impattanti, per le quali esistono campagne di comunicazione che producono un discreto effetto e la risposta vaccinale della popolazione, altre infezioni non rientrano nella quota di conoscenza dei pazienti in misura sufficiente a far sorgere in loro la richiesta di immunizzazione. L’informazione su queste patologie, e sui rischi che possono avere per la gestione del diabete, deve, quindi, essere maggiore e a più livelli. Le Associazioni pazienti possono svolgere un ruolo prezioso in tal senso, facendo da raccordo tra il sistema sanitario e le persone. Accogliamo con favore la campagna di sensibilizzazione promossa da AMD e siamo disponibili per amplificarne i messaggi, nella convinzione che fornire strumenti di conoscenza sia essenziale per raggiungere l’obiettivo di una maggiore copertura vaccinale della popolazione”.

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di Rossella Gemma

Sintomo di esordio o complicanza successiva, l’Epilessia costituisce una comorbidità frequente in chi è affetto da tumore cerebrale: l'Epilessia tumore-relata costituisce il 6-10% di tutti i casi di Epilessia e il 12% delle Epilessie acquisite ed è il sintomo più comune nelle persone con tumore cerebrale.

Esistono tumori cerebrali che di per sé presentano un basso rischio di evoluzione sfavorevole, ma sono molto frequentemente causa di crisi epilettiche spesso farmacoresistenti. In molti di questi casi, è possibile intervenire chirurgicamente, anche e soprattutto per ottenere il controllo delle crisi.

Purtroppo, le crisi epilettiche sono spesso associate anche a tumori cerebrali con vari gradi di malignità; in questo caso, l’intervento chirurgico riveste un duplice ruolo terapeutico: oncologico ed epilettologico.

In occasione del mese di ottobre dedicato alla prevenzione oncologica, la LICE, Lega Italiana Contro l’Epilessia, con il suo Gruppo di Studio Epilessia e Tumori, accende i riflettori su questo delicato tema: “In questi casi, l’Epilessia, quando presente, incide sfavorevolmente su una qualità della vita già spesso precaria: le crisi sono talora difficili da controllare, e oltre che un problema medico sono motivo di ulteriori restrizioni nella vita quotidiana. – sottolinea il Prof. Carlo Andrea Galimberti, Presidente LICE - I farmaci anticrisi sono necessari ma, a volte, accentuano il disagio psicologico e i problemi cognitivi già legati alla presenza del tumore e agli esiti dei provvedimenti chirurgici. Inoltre, la scelta dei farmaci anticrisi deve tener conto delle prospettive terapeutiche (Chemioterapia e Radioterapia) ed esistenziali del singolo paziente”.

L'Epilessia-tumore relata ha, infatti, caratteristiche peculiari: “Innanzitutto, le persone affette da questo tipo di Epilessia – ricorda la Dott.ssa Giada Pauletto, responsabile Gruppo di Studio Epilessia e Tumori cerebrali, LICE - sono più a rischio di ridurre la terapia o di sospenderla per effetti collaterali da farmaci anticrisi non tollerabili. Non sappiamo bene perché questo avvenga, probabilmente per caratteristiche intrinseche, per l'interazione con altri farmaci, ad esempio con i corticosteroidi, oppure per una minore tollerabilità proprio a livello psicologico. Ci sono, inoltre, dei limiti terapeutici nell’utilizzo di alcuni farmaci anticrisi a nostra disposizione, proprio perché possono interagire con gli steroidi, i chemioterapici e la radioterapia. Infine, è da sottolineare un’aumentata farmacoresistenza in questo tipo di pazienti”.

Se consideriamo globalmente la farmacoresistenza, nelle persone affette da Epilessia si arriva ad un’incidenza di circa il 30%, mentre nei casi di Epilessia tumore-relata si può arrivare sino a un 40%.

La terapia antiepilettica nelle persone con tumore cerebrale è il frutto di una decisione complessa che deve tener conto di più fattori – aggiunge la dott.ssa Eleonora Rosati, referente LICE del gruppo di studio su Epilessia e Tumori. Se, in prima battuta, si raccomanda l’impiego di farmaci indicati per l’epilessia focale, le caratteristiche che principalmente orientano il clinico verso una scelta mirata nel singolo paziente sono l’efficacia e la tollerabilità, vista la possibile farmacoresistenza e l’alta incidenza di eventi avversi in questa popolazione di individui”.

Per minimizzare il rischio di interazioni farmacologiche con le terapie oncologiche o quelle usate per altre comorbidità, i farmaci che non siano induttori o inibitori enzimatici sono, in generale, da preferire. Un altro criterio di scelta è rappresentato dalla disponibilità di formulazioni per somministrazione endovenosa o in soluzione per via orale, utili, ad esempio, nella gestione delle urgenze. Anche la possibilità di un rapido aggiustamento del dosaggio di un farmaco fino al raggiungimento dell'effetto terapeutico desiderato può rappresentare un vantaggio, considerando che la necessità di un rapido cambiamento terapeutico o di trattare crisi subentranti sono, in questi casi, tutt’altro che infrequenti.

Gli effetti sulle comorbidità come quella psichiatrica o cognitiva hanno, inoltre, un ruolo importante nella selezione di un farmaco e fanno propendere per l’impiego di farmaci con bassa probabilità di influire sfavorevolmente sulle performance cognitive e sull’umore.

Con oltre 50 milioni di persone colpite nel mondo, l’Epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’Epilessia come malattia sociale. Si stima che nei Paesi industrializzati interessi circa 1 persona su 100: in Italia soffrono di Epilessia circa 600.000 personeben 6 milioni in Europa. Nei Paesi a reddito elevato, l’incidenza dell’Epilessia presenta due picchi, rispettivamente nei primi anni di vita e dopo i 75 anni. Nel 2022 l’OMS ha ratificato il Piano d’Azione Globale Intersettoriale per l’Epilessia e gli altri Disturbi Neurologici 2022 – 2031 (Intersectorial Global Action Plan for Epilepsy and other Neurological Disorders, IGAP), il primo piano d’azione globale sulla gestione dell’epilessia, che detta fondamentali obiettivi per gli Stati Membri nei prossimi dieci anni. Gli scopi principali dell’IGAP sono: ottenere l’assistenza sanitaria universale con la fornitura di medicinali essenziali e tecnologie di base necessarie per la loro gestione; l’aggiornamento delle politiche nazionali esistenti riguardo l'Epilessia e gli altri disturbi neurologici, con idonee campagne di sensibilizzazione e programmi di advocacy; la realizzazione di programmi intersettoriali destinati alla promozione della salute del cervello e alla prevenzione dei disturbi neurologici; lo sviluppo di un’idonea legislazione al fine di promuovere la lotta allo stigma e proteggere i diritti umani delle Persone con Epilessia.

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di Rossella Gemma

Un 'Patto per l'eliminazione dell'Epatite C' in Italia. Lo hanno presentato e firmato a Roma numerosi attori del Sistema Salute, che si sono confrontati sui risultati ottenuti finora dal programma di screening e sulle possibili soluzioni per contrastare nel modo più efficace l'epatite C nel nostro Paese.

È accaduto al termine dell'evento 'Epatite C: Obiettivo eliminazione, il momento è adesso. Strategie e modelli organizzativi per riscrivere la storia delle epatiti virali', a cui hanno preso parte decisori pubblici nazionali, regionali e territoriali, rappresentanti delle istituzioni, delle società scientifiche e dei pazienti, esperti e professionisti sanitari e sociosanitari.

Due le azioni al centro dell'incontro odierno promosso da Gilead Sciences: prorogare l'attuale programma di screening gratuito per l'epatite C a tutto il 2025, promuovendolo con maggior efficacia, ed estenderlo anche ai nati tra il 1948 ed il 1968, oltre all'attuale coorte di nascita 1969-1989, oggi considerata. Due azioni indispensabili e prioritarie secondo gli esperti riuniti questo pomeriggio nella Capitale per raggiungere l'obiettivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di eliminare questa infezione entro il 2030.

E sulla base dei dati presentati durante l'incontro, per metterle in pratica non sono necessari fondi aggiuntivi rispetto ai 71,5 milioni di euro già stanziati attraverso il Decreto Milleproroghe, per la maggior parte ancora non utilizzati, anche a causa della bassa adesione. Nel corso dell'evento, infatti, è emerso come la copertura dello screening abbia raggiunto solo l'11% della popolazione generale tra i 35 e i 55 anni.

"L'epatite C– ha spiegato la presidente dell'Associazione Italiana Studio del Fegato (Aisf), Vincenza Calvaruso– è una malattia infiammatoria del fegato causata dal virus Hcv. Nella maggior parte dei casi l'infezione evolve in epatite cronica, fibrosi, cirrosi e carcinoma epatico. Questo processo dura molti anni, durante i quali l'infezione resta silente. È quindi molto difficile stimare il cosiddetto sommerso e pertanto, per raggiungere l'obiettivo dell'eradicazione dell'epatite C, è essenziale in primo luogo non fermare il programma di screening ma continuare ad assicurarlo e implementarlo ovunque non sia ancora partito per tutte le popolazioni target".

Il programma di screening per l'epatite C è stato lanciato in Italia nel 2020, con l'intento di individuare le infezioni sommerse e trattarle precocemente, per ridurre la trasmissione del virus e l'incidenza delle gravi complicanze correlate. Il programma è destinato a tre popolazioni target: i nati tra il 1969 e il 1989, le persone seguite dai Servizi per le dipendenze (Ser.D.) e le persone detenute. Grazie allo stanziamento di 71,5 milioni di euro, dal 2020 al 2024 il nostro Paese ha continuato a implementare e rafforzare lo screening per l'Hcv con aggiornamenti legislativi e iniziative sanitarie.

"Lo screening- ha evidenziato il direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), Massimo Andreoni- ha permesso di identificare ad oggi oltre 10.000 persone che non sapevano di avere l'infezione da Hcv e che in molti casi abbiamo potuto avviare al trattamento. Questi risultati sono stati ottenuti nonostante il programma abbia subito ritardi e in molte regioni non sia stato completamente implementato. Risultati che danno un importante segnale sulle potenzialità dello screening".

Per Massimo Andreoni "è fondamentale che venga prorogato, ampliato a fasce di popolazione più ampie, attivato in tutte le regioni e anche promosso con campagne di sensibilizzazione e comunicazione efficaci. Stiamo finalmente assistendo a una riduzione delle complicanze da epatite C, ma se lo screening dovesse venire interrotto, queste torneranno certamente ad aumentare, con un impatto inevitabile sul Sistema Sanitario Nazionale".

Secondo i dati del Report 'Eliminazione dell'Epatite C in Italia- Stato dell'arte e possibili nuove strategie regionali', realizzato da Isheo per Gilead Sciences, al 31 dicembre 2023 erano state testate oltre un milione di persone ed erano stati identificati oltre 10.000 casi di infezione da Hcv attiva. Un risultato senza dubbio importante ma di certo non sufficiente, anche considerando che il termine del programma di screening è previsto per la fine di quest'anno.

Presentato nel corso dell'evento, il documento contiene un'analisi dell'implementazione del programma di screening a livello nazionale e regionale, le stime del budget utilizzato e di quello rimanente, della numerosità della coorte 1948-1968, dei costi dell'eventuale ampliamento dello screening a questa popolazione e dei risparmi per il sistema sanitario.

Come anticipato, soltanto l'11% della popolazione generale della coorte 1969-89 è stata sottoposta a screening e la stima del budget rimanente rispetto al fondo stanziato è stata calcolata pari a 61.644.920 euro. Il numero di pazienti eleggibili allo screening con l'estensione alla popolazione 1948-68 è risultato pari a 31.539.490 e la copertura economica necessaria è stata stimata in 58.380.040 euro: una spesa quindi sostenibile, perché inferiore alla rimanenza dei fondi già stanziati.

"Per quanto riguarda lo screening nazionale finalizzato al raggiungimento degli obiettivi Oms- le parole del presidente EpaC Ets, Ivan Gardini- è necessario fornire alle regioni una certezza di stabilità sul lungo periodo, almeno fino al 2030, rendendo lo screening strutturale e non sperimentale come è attualmente, apportando tutte le modifiche normative del caso, concertate con regioni, società scientifiche e associazioni pazienti".

"È assolutamente auspicabile una strategia sanitaria globale sulla prevenzione delle infezioni trasmissibili- ha poi precisato- ma che possa trovare concrete possibilità di attuazione attraverso una solida base normativa ed economica, almeno per l'epatite C".

"Da oltre 20 anni Gilead Sciences è in prima linea nella lotta alle epatiti virali– ha concluso Frederico da Silva, VP e General Manager di Gilead Sciences Italia– con lo sviluppo di soluzioni che hanno migliorato radicalmente la vita dei pazienti e rivoluzionato la storia delle epatiti, in particolare dell'epatite C. Abbiamo dato un contributo significativo e vogliamo continuare a farlo, al fianco delle istituzioni nazionali, locali e di tutti i partner del sistema salute, andando oltre le terapie. Riteniamo fondamentale promuovere lo screening per far emergere le infezioni sommerse, affinché a tutti i pazienti siano garantite le stesse possibilità di cura e possa essere raggiunto l'obiettivo Oms di eliminazione dell'epatite C entro il 2030".
 
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di Rossella Gemma

La ricerca scientifica giunge a una svolta nel trattamento dell'obesità, che rappresenta una vera e propria patologia cronica con dati in continua crescita. Secondo il rapporto Istat, In Italia, nel 2021 la quota di sovrappeso nella popolazione adulta è pari al 36,1%, mentre le persone con obesità sono l'11,5%, con un trend in costante crescita. La novità terapeutica è rappresentata dalla molecola Tirzepatide, adesso disponibile in Italia, che potrà rivelarsi dirompente, considerato anche il ruolo dell'obesità nel determinare patologie metaboliche, cardiovascolari e oncologiche. Questa nuova molecola, unica nel suo genere, non solo aiuta a perdere peso, ma contribuisce anche a ridurre i principali fattori di rischio cardiovascolare.
 
Molte persone, in passato, hanno tentato, anche senza consulto medico, diversi programmi dimagranti, diete ed esercizio fisico, spendendo tempo e denaro, ma senza ottenere risultati duraturi; con l'approccio innovativo di Tirzepatide, a differenza di altri farmaci oggi disponibili che richiedono fino a cinque mesi per raggiungere una dose efficace, sono sufficienti solo quattro settimane per vedere i primi risultati concreti. Questo significa meno ansia legata ai continui cambiamenti di dosaggio e una gestione del trattamento molto più semplice, con una immediata motivazione che favorisce una maggiore adesione alla terapia, aiutando a rendere il percorso di perdita di peso più realistico e soddisfacente. Il tutto con un ottimo profilo di tollerabilità, senza effetti collaterali importanti.
 
In questi anni, la sfida di perdere peso è stata affrontata con diete, esercizio fisico, trattamenti che si sono conclusi senza risultati soddisfacenti, con la chirurgia bariatrica unico approccio realmente efficace, ma radicale e applicabile a una cerchia ristretta di persone. Con Tirzepatide si apre una nuova e straordinaria opportunità.
 
"Tirzepatide rappresenta un'innovazione farmacologica per la sua natura duale che permette a una singola molecola di agire su due recettori, Gip e Glp-1, riducendo il senso di fame e favorendo la perdita di peso- sottolinea Paolo Sbraccia, professore ordinario Medicina Interna, Dip. Medicina dei Sistemi, Università Tor Vergata, Direttore UOC Medicina Interna e Centro Medico dell'Obesità, Policlinico Tor Vergata- Nello studio clinico di fase 3 Surmount-1, il farmaco, in aggiunta alla dieta e all'esercizio fisico, ha dimostrato con il primo dosaggio di mantenimento di 5 mg (raggiunto dopo 4 settimane di trattamento) una riduzione del peso del 16% alla 72° settimana. Inoltre, con la dose di mantenimento massima di 15 mg, tirzepatide ha dimostrato una perdita di peso senza precedenti del 22,5%. Oltre alla riduzione del peso, questo farmaco offre benefici su pressione arteriosa, trigliceridi e altri fattori di rischio cardiovascolare. È indicato per tutti i pazienti con un indice di massa corporea superiore a 30, ma anche per le persone in sovrappeso, con un indice tra 27 e 29, o con un'altra complicanza dell'obesità, tipo l'ipertensione, i trigliceridi elevati, la sindrome delle apnee notturne".
 
L'obesità incide profondamente sullo stato di salute poiché si accompagna a importanti malattie e condizioni morbose che, in varia misura, peggiorano la qualità di vita e ne riducono la durata.
 
"Nonostante i progressi, l'obesità è ancora spesso ritenuta una condizione, un fattore di rischio, il risultato di stili di vita scorretti, e le persone affette vengono colpevolizzate. Si dimentica che invece l'obesità è una malattia legata alla mancata capacità dell'organismo di regolare il peso e il grasso corporeo per il mantenimento della salute- spiega Rocco Barazzoni, presidente Sio - Società italiana dell'obesità, Dipartimento Scienze Mediche Chirurgiche e della Salute, Ospedale Cattinara, Università di Trieste- In Italia i numeri sono in aumento, con l'11,5% di persone colpite, circa 6 milioni; se si aggiungono le persone in sovrappeso, si arriva quasi a metà della popolazione: si tratta quindi di un enorme problema di salute pubblica. L'obesità, inoltre, è una malattia sistemica, poiché ha un impatto negativo su tutti gli apparati e i sistemi dell'organismo: oltre che per malattie metaboliche come diabete, ipertensione, dislipidemie, l'obesità è un fattore di rischio anche per malattie oncologiche, cardiopatie, malattie renali, malattie epatiche, senza dimenticare le complicanze biomeccaniche, con difficoltà nel movimento, fragilità e disabilità che sopraggiungono soprattutto, ma non solo, in tarda età. L'impatto sociale ed economico dell'obesità è quindi molto rilevante, ma purtroppo non se ne prende piena consapevolezza, sottovalutando sia prevenzione che trattamento. Con adeguati interventi e investimenti lungimiranti si potrebbero ridurre complicanze, ospedalizzazioni, e trattamenti farmacologici per altre malattie".
 
Per questo la comunità scientifica auspica decisioni volte a tutelare la salute dei pazienti con tutti gli strumenti disponibili, considerando anche il valore di investimenti utili a prevenire trattamenti e ricoveri delle complicanze a cui sono soggette le persone con obesità.
 
"I farmaci innovativi contro l'obesità offrono grandi benefici, anche se i costi attuali restano significativi e non ancora coperti dal Servizio Sanitario Nazionale- evidenzia Luca Busetto, past president Sio, professore associato Medicina Interna, Università di Padova, Dip. Medicina Dimed, Centro per lo Studio e il Trattamento Integrato dell'Obesità, Azienda Ospedaliera di Padova- La prescrivibilità in regime privatistico aumenta il rischio di un uso non propriamente adeguato, legato più a motivi di estetica che di patologia. Viceversa la non rimborsabilità pone un problema di equità al SSN, considerando che l'obesità è maggiormente diffusa proprio nelle classi socioeconomiche più svantaggiate. Si rischia di perdere una grande opportunità, visti i risultati emersi dagli studi clinici che hanno dimostrato benefici anche su patologie cardiovascolari, diabete, apnee notturne. È pertanto auspicabile una politica di rimborso almeno parziale indirizzato ai soggetti che hanno un maggiore rischio per la salute: chi abbia già avuto un evento cardiovascolare, i pazienti con scompenso cardiaco, quelli con prediabete e con apnee notturne sono le popolazioni indicate dalla letteratura scientifica come meritevoli di una priorità. Sarebbe un investimento che consentirebbe di risparmiare fondi sui successivi trattamenti e ospedalizzazioni".
 
Prevalenza e incidenza dell'obesità attribuiscono al medico di medicina generale un ruolo fondamentale, visto l'elevato numero di pazienti che giunge alla sua attenzione.
 
"Ogni Medico Medicina Generale ha in carico in media circa 600 persone con un problema di eccesso di peso di cui circa 150 con obesità e 500 in sovrappeso- sottolinea Gerardo Medea, consigliere nazionale Simg, e responsabile della ricerca- Il nostro compito è anzitutto quello di contenere il problema obesità attraverso la prevenzione primaria e poi di intercettare questi pazienti, per coinvolgerli in un percorso di diagnosi e cura personalizzato (che tenga conto cioè della situazione clinica di ciascuno di essi), ma soprattutto continuativo, (trattandosi di una patologia cronica) e multiprofessionale (trattandosi di una patologia complessa). Bisogna, inoltre, condividere coi pazienti obiettivi di cura realistici sia per quanto riguarda lo stile di vita, sia per la terapia farmacologica. Alla auspicata presa in carico di questi pazienti si aggiunge oggi la disponibilità di farmaci innovativi, come tirzeparide, per il trattamento dell'obesità, efficaci e sicuri, prescrivibili anche dai medici di famiglia. Questo richiede una robusta attività di formazione dei medici di medicina generale affinché essi acquisiscano le competenze per poterli consigliare e prescrivere, anche in concertazione, quando necessario, con i centri di secondo e terzo livello", ha concluso il consigliere nazionale Simg.