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Da una parte, l’aumento dei casi di tumore che, secondo le stime, sono cresciuti in maniera imponente, con circa 395mila nuove diagnosi nel 2023 e un incremento di 18.400 casi ogni 12 mesi dal 2020. Dall’altra, un netto miglioramento nell’efficacia della prevenzione e delle cure che, in 13 anni, si stima abbiano permesso di evitare oltre 268mila decessi. In questo contesto, l’oncologia italiana si trova a un punto di svolta, con avanzamenti senza precedenti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori. Le scoperte nei checkpoints immunologici, nella genomica e nei trigger points tumorali hanno delineato nuovi scenari che fino a qualche tempo fa erano inimmaginabili, portando a terapie estremamente mirate ed efficaci. Tuttavia, questi progressi scientifici devono confrontarsi con sfide cruciali di sostenibilità e accesso.
Il modello mutazionale ha avuto un impatto significativo sui sistemi sanitari, ridefinendo ambiti e competenze professionali. Ma l’innovazione diagnostica e terapeutica rischia di non esprimere tutta la propria efficacia senza un sistema in grado di accoglierla e implementarla. Problemi come l’early access alle terapie innovative, il disallineamento tra diagnostica e farmaci, e le difficoltà di rimborsabilità per le terapie target richiedono interventi urgenti.
Per quanto riguarda la sostenibilità della spesa, né la costituzione dei fondi sovraregionali dedicati ai farmaci innovativi, né la riunione dei 2 fondi in un unico fondo, né l’eventuale avanzo del fondo restituito alle regioni (non vincolato) sembrano aver risolto le molte criticità, né la recente allocazione di una parte del fondo per i farmaci a innovatività condizionata. Preoccupazione costante di ogni Regione è quanto possa accadere quando decadrà il periodo di riconoscimento dell’innovazione delle terapie che garantisce una spesa a carico dello Stato.
Sono i dati emersi dall'evento di Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Centro Diagnostico Italiano (CDI) e Gilead che ha riunito a Firenze i massimi esperti del settore con l’obiettivo di discutere criticità, condividere buone pratiche e delineare un futuro sostenibile per l’oncologia italiana.
Secondo le stime, circa il 40% dei nuovi casi di tumore sono potenzialmente prevenibili in quanto correlati a fattori di rischio modificabili. Tra questi, sicuramente, c’è il fumo. Ed è un dato di fatto che in Italia ci siano milioni di fumatori che non vogliono oppure non riescono a smettere. Diventa allora fondamentale ragionare sulle strategie di riduzione del rischio, valutando l’opportunità di passare a prodotti privi di combustione.
“Negli ultimi anni – ricostruisce Silvio Festinese, Coordinatore Responsabile Cardiologia Ambulatoriale Area Ospedale S.Spirito ASL Roma I e Coordinatore Cattedra di Farmacologia International Medical University “Unicamillus” Rome – abbiamo avuto tre trial e una revisione sistematica pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali da cui emergono alcune prime, importanti, evidenze del fatto che l’uso della e-cigarette ai fini della cessazione dell’abitudine tabagica sia migliore della terapia medica basata sull’uso sostitutivo dei farmaci”. Questo, secondo Festinese, “deve farci riflettere sui consigli da dare nella clinica pratica nell’approccio ai pazienti fumatori”. Ovviamente, e il professor Festinese lo sottolinea “in maniera tassativa, è meglio non fumare. Ma per coloro che non vogliono, non riescono, oppure hanno già fallito anche con altre vie, dobbiamo chiederci se non sia possibile, nei casi di tabagismo, quantomeno ridurre il rischio, sia cardiovascolare che oncologico, così come avviene per altri fattori come l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia”.
Uno dei focus della giornata di lavori, in cui si è fatto il punto sulle principali terapie innovative, dalle Car-T a quelle per il tumore del seno, ha riguardato il tumore alla prostata. “Ogni anno in Italia circa 44.000 persone si ammalano di tumore della prostata. In questo scenario – ha spiegato il dottor Giancarlo Beltramo, Direttore del Centro Cyberknife CDI - la radioterapia a fasci esterni è una consolidata alternativa non invasiva al trattamento chirurgico, rispetto al quale offre pari efficacia in termini di controllo di malattia e sopravvivenza globale. La continua innovazione tecnologica nell’ambito della radioterapia – ha proseguito Beltramo - ha permesso di sviluppare nuove tecniche di irradiazione nell’ambito del tumore della prostata tra cui i trattamenti stereotassici”.
Il Cyberknife rappresenta una soluzione tecnologica unica nel suo genere. “L’accuratezza e la precisione del trattamento stereotassico con Cyberknife - ha sottolineato ancora Beltramo - non solo permette una riduzione significativa dell’irradiazione dei tessuti sani adiacenti al tumore, prerogativa per una minore tossicità e una migliore qualità della vita del paziente, ma, grazie alla precisione sub millimetrica del sistema robotico, consente di erogare elevati livelli di dose di radiazione concentrati sul bersaglio tumorale, prerogativa per un miglior controllo locale di malattia e di una maggiore sopravvivenza. Il trattamento radiochirurgico con Cyberknife ha permesso quindi di offrire ai pazienti affetti da tumore della prostata, trattamenti sicuri, veloci ed efficaci che possono costituire una nuova valida opzione terapeutica”.
“Il tumore alla prostata - ha spiegato Claudio Talmelli, presidente di Europa Uomo - rappresenta il 20% circa delle malattie oncologiche che affliggono il maschio, con circa 564mila soggetti affetti attualmente. Un vero e proprio esercito”. Con riflessi importanti non soltanto per il malato, “ma anche per tutte le famiglie. Milioni di persone coinvolte” in un problema di cui, “non si parla abbastanza, perché la malattia porta con sé una forma di stigma”. Dal punto di vista diagnostico, una svolta fondamentale è rappresentata dalla risonanza magnetica multiparametrica. “L’individuazione del tumore con la biopsia – ha spiegato Talmelli – oltre ad essere dolorosa, ha sempre comportato alcune difficoltà legate innanzitutto alla posizione della prostata, nascosta sotto la vescica. La risonanza magnetica nucleare tridimensionale e multiparametrica ha reso possibile una scansione che dà anche la profondità, e questo rappresenta un grandissimo successo perché è in grado di identificare un eventuale tumore in maniera precisa. Tutti i nuovi studi sono orientati su una tecnica di indagine che parta dal Psa e, successivamente, nel caso in cui questo sia alterato, arrivi alla risonanza magnetica multiparametrica. Il problema è che non tutte le realtà dispongono di questo tipo di macchinario. Ma sicuramente abbiamo fatto un passo avanti fondamentale per quanto riguarda gli screening, con la possibilità di salvare molte vite. Individuando prima i tumori è poi possibile mettere in campo interventi più blandi per il paziente, a cui è garantita una qualità della vita migliore”. Un aspetto tutt’altro che irrilevante, se si considera che la previsione di sopravvivenza di chi sia ammalato di tumore alla prostata “è del 91% a cinque anni, all’82% a dieci anni”.
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Il benessere dell’intero organismo regolato dall’asse intestino-cervello. Una connessione complessa e affascinante, al centro del convegno “Asse intestino-cervello: What’s new?”, organizzato oggi da Spazio Vita Niguarda S.C.S. Onlus presso la sede dell’organizzazione all’interno dell’Ospedale Niguarda di Milano. Un incontro che ha riunito esperti di farmacologia, psicologia, nutrizione e medicina per tracciare un quadro aggiornato di questa comunicazione bidirezionale, capace di influenzare non solo il corpo ma anche la mente.
Ad aprire i lavori, il prof. Giorgio Racagni, past president della Società Italiana di Farmacologia, che ha esplorato i meccanismi che regolano il dialogo tra intestino e cervello. Al centro, il microbiota intestinale: un ecosistema di miliardi di microrganismi che, attraverso metaboliti specifici, influenza direttamente l’attività cerebrale. “Alcuni ormoni e neurotrasmettitori giocano un ruolo fondamentale in questa connessione, e tra questi spicca la serotonina”, ha spiegato Racagni, sottolineando come questa molecola, presente nelle cellule endocrine dell’intestino, agisca sia come ormone che come neurotrasmettitore, coinvolgendo praticamente tutte le aree del cervello.
Nel corso della mattinata sono stati affrontati anche altri temi cruciali, come i legami tra epilessia e microbiota e il ruolo dei prodotti naturali nel supporto al benessere gastroenterico.
Il prof. Giorgio Donegani, tecnologo alimentare ed esperto di educazione alimentare, ha approfondito le connessioni tra sindrome dell’intestino irritabile, alimentazione e integrazione nutrizionale. “L’intestino è un organo che per grandezza, potrebbe ricoprire la superficie di un campo da tennis, ed è molto più esposto di quanto pensiamo”, ha evidenziato Donegani, ricordando l’importanza di una dieta equilibrata per favorire la crescita di un microbiota sano. “Ogni individuo è unico, e un’alimentazione personalizzata è un pilastro essenziale per il benessere dell’asse intestino-cervello”.
Spazio Vita Niguarda, realtà accreditata per le Cure Domiciliari (ex ADI) dalla Regione Lombardia, non si limita a promuovere convegni come quello di oggi, ma lavora quotidianamente per diffondere una cultura della salute basata su educazione e multidisciplinarità. “È fondamentale creare eventi accessibili e scientificamente accurati, che offrano strumenti concreti per una maggiore consapevolezza”, ha sottolineato la dott.ssa Tiziana Redaelli, vicepresidente della Onlus.
Tra i prossimi appuntamenti in programma, un convegno dedicato alla spina bifida, con un focus particolare sulla prevenzione non solo primaria ma anche secondaria. “Non vogliamo limitarci alla prevenzione primaria evitando la nascita di bambini con spina bifida – ha precisato a margine dell’incontro la dott.ssa Redaelli – ma vogliamo concentrarci sulla prevenzione secondaria, cioè tutto ciò che è necessario mettere in atto a livello sanitario, psicologico e sociale nel percorso di vita delle persone affette da questa patologia, dall’infanzia fino all’età adulta”.
Spazio Vita Niguarda nasce nel 2013 ed è il frutto dell’unione di due realtà associative attive da diversi anni all’interno dell’Unità Spinale Unipolare dell’Ospedale Niguarda Ca’ Grande di Milano: AUS Associazione Unità Spinale Niguarda Onlus e ASBIN Associazione Spina Bifida e Idrocefalo Niguarda Onlus. Situata presso l’Ospedale Niguarda di Milano, Spazio Vita si dedica al miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità motorie, sia congenite che acquisite. Fondata in collaborazione con l’Unità Spinale Unipolare e con il supporto dell'ospedale, offre servizi che spaziano dal supporto socio-sanitario al reinserimento sociale e lavorativo. Tra le attività proposte ci sono corsi di formazione, assistenza psicologica e sociale, percorsi di sviluppo dell’autonomia, un Centro di Aggregazione Disabili con numerose attività laboratoriali e ludico ricreative e un polo di ricerca e sviluppo chiamato TECHLAB, che esplora soluzioni innovative per l'autonomia delle persone con disabilità, come la domotica e la stampa 3D. Inoltre, Spazio Vita promuove una forte inclusione sociale attraverso collaborazioni con aziende, progetti culturali e percorsi di integrazione personalizzati per facilitare l'indipendenza e la partecipazione attiva. Per maggiori informazioni: www.spaziovitaniguarda.it
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Il 20% degli italiani non riceve alcun invito a fare screening. E dei cittadini che vengono coinvolti, 1 su 3 ha difficoltà a partecipare i controlli e 1 su 5 rinuncia alla prevenzione a causa di orari incompatibili, liste d’attesa e difficoltà logistiche del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Sono solo 6 su 10 quelli che vengono messi in condizione di portare a termine i controlli di prevenzione.
È quanto emerge dai dati del Barometro del Patient Engagement, la prima indagine nazionale sulla percezione del coinvolgimento attivo degli italiani nel proprio percorso di cura, realizzata da Helaglobe con il comitato scientifico composto da Paolo Petralia, Direttore Generale ASL 4 Liguria, Caterina Rizzo, Ordinario di Igiene Generale e Applicata all’Università di Pisa - AOU Pisana, Matteo Scortichini, Ricercatore Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università Roma “Tor Vergata”, Vito Montanaro, Consigliere AIFA e Direttore Dipartimento Salute Regione Puglia, e Alessandra Ferretti, Referente Comunicazione istituzionale Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare Regione Emilia-Romagna. A commentare i dati anche Gennaro D’Agostino, Direttore Sanitario ASL Roma 1.
«Il quadro che viene delineato dai tanti dati che abbiamo raccolto con i questionari sottoposti ad un campione di circa 3mila cittadini in tutte le Regioni, è quello di una sanità costantemente sollecitata ma che si preoccupa poco di coinvolgere i cittadini, di ascoltare le loro esigenze e di prendere in considerazione le loro proposte di miglioramento. Prescrive visite ed esami, suggerisce screening, ma poi in molti casi abbandona il paziente a sé stesso senza metterlo in condizione di seguire quelle indicazioni», dice Davide Cafiero, managing director di Helaglobe.
Nella ricerca spicca l’87% dei cittadini che afferma di non essere mai stato coinvolto in indagini sulla qualità del servizio di ospedali o di strutture sanitarie o in gruppi di lavoro specifici per progettare e migliorare tali servizi. Questo, a fronte di un 35% che ha trovato difficile o molto difficile prenotare esami o visite. E anche a livello di singoli professionisti sanitari si rispecchia questa mancanza di partecipazione con il 22% dei pazienti che dichiara di non venire mai coinvolto dal proprio medico nelle decisioni sulla propria salute e un 40% che viene coinvolto saltuariamente, nonostante da parte di quasi tutti i cittadini ci sia il desiderio di partecipare ed essere ingaggiato nelle scelte pur rispettando le scelte effettuate dai camici bianchi.
«Coinvolgere i pazienti non è solo una questione etica, ma è fondamentale per l'efficienza del sistema sanitario. Quando i pazienti sono informati, educati e coinvolti attivamente nelle decisioni terapeutiche, il tasso di adesione alle terapie e il rispetto delle prescrizioni migliorano sensibilmente riducendo ricoveri e accessi al pronto soccorso», afferma Matteo Scortichini, Ricercatore Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università Roma “Tor Vergata”.
«Le difficoltà organizzative segnalate dall’indagine così come la gestione del tempo e gli impegni personali, evidenziano la necessità di rivedere i modelli di erogazione degli screening prevedendo la possibilità di organizzare appuntamenti flessibili in luoghi prossimi al domicilio o al lavoro della popolazione target, promuovere campagne informative più efficaci e assicurare una comunicazione diretta con gli utenti per migliorare la partecipazione» commenta Caterina Rizzo, Professore Ordinario di Igiene Generale e Applicata Università di Pisa – Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.
«Ascoltare, per chi deve elaborare strategie di governo dell’offerta sanitaria, significa avere un canale sempre aperto con i cittadini e coinvolgere nei tavoli tecnici i rappresentanti delle associazioni di pazienti. Informare, nel Terzo Millennio, vuol dire utilizzare anche web, social e tutti gli strumenti che l’evoluzione del digitale mette a nostra disposizione» spiega Vito Montanaro, Consigliere d’amministrazione dell’Aifa e direttore del Dipartimento Salute della Regione Puglia.
«Tre azioni per coinvolgere meglio i pazienti nella sanità: primo, un’azione di educazione sanitaria nei confronti del grande pubblico, che trasmetta in modo coinvolgente, attraverso la scuola e i canali dell’informazione, processi, dubbi, successi e fallimenti della scienza. Secondo, un potenziamento della preparazione sul Patient Engagement alla Facoltà di Medicina e Chirurgia e Infermieristica e una formazione continua degli operatori sanitari. Terzo, l’assunzione di una prospettiva “di complessità” da parte di tutti gli agenti coinvolti, i quali siano consapevoli che il valore aggiunto del sistema viene dall’interazione delle sue componenti ancora prima che dal contributo delle sue componenti prese singolarmente» propone Alessandra Ferretti, Referente Comunicazione istituzionale Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare Regione Emilia-Romagna.
«Il digitale rappresenta certamente uno dei driver di trasformazione dell’intero ecosistema salute. Resta chiaro che questo strumento deve però coniugarsi con l’obiettivo di ingaggio dei cittadini a riorientare ogni aspetto gestionale-organizzativo verso la centralità della persona che poi è, il vero motore di cambiamento dell’intero sistema salute. Il Patient Engagement è certamente la coordinata dentro la quale ritrovare consapevolezza e responsabilità del cittadino, inteso come “cittadino - paziente”, perché è evidente che il suo esserci significa esserci in maniera matura ed in maniera informata» riflette Paolo Petralia, Direttore Generale ASL 4 Liguria.
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Sono consapevoli di doversi proteggere dalle infezioni più note e ricorrenti, ossia influenza e Covid, per le quali si sono vaccinate in oltre il 75%. Invece, nei confronti di altre malattie infettive, meno frequenti ma per loro potenzialmente molto pericolose, il livello di guardia delle persone con diabete resta ancora basso: meno del 40% si è sottoposto ai vaccini contro tetano, morbillo/parotite/rosolia, polmonite, pertosse, difterite, meningite, Herpes Zoster e virus respiratorio sinciziale. È questa la fotografia scattata dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD) nell’ambito di una survey condotta su 430 dei propri assistiti, con l’obiettivo di capire il loro atteggiamento nei confronti dei vaccini: quali conoscono, quali hanno eseguito e, se non ne hanno eseguiti, per quali motivi. I risultati della survey, presentati oggi in una conferenza stampa a Milano, hanno rilevato l’esigenza avvertita dalle persone con diabete di sentirsi consigliare più spesso, dai propri medici, le vaccinazioni a loro raccomandate. Per contribuire a colmare questo gap informativo, AMD ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Con il diabete vacciniamoci” che vivrà nei centri di diabetologia di tutta Italia e sui canali social societari. L’iniziativa è sponsorizzata in modo non condizionante da GlaxoSmithKline S.p.A.
“Rispetto alla popolazione generale, le persone con diabete hanno maggiori probabilità di contrarre un’infezione [i], un rischio quattro volte superiore di ricovero ospedaliero[ii] a seguito dell’infezione e un rischio doppio di decesso[iii]”, spiega Riccardo Candido, Presidente Nazionale AMD, tra i relatori della conferenza stampa. “Le malattie infettive possono anche causare un aumento temporaneo della glicemia, peggiorando la gestione del diabete stesso. Questi rischi non riguardano solo le infezioni più note, ma anche altre, spesso sottovalutate perché considerate più rare, come il Fuoco di Sant’Antonio (o Herpes Zoster), la polmonite pneumococcica, la meningite batterica, l’epatite B. Le vaccinazioni che permettono di difendersi da queste patologie sono, quindi, strumenti di salute irrinunciabili per chi convive con il diabete. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025, infatti, prevede per loto l’offerta gratuita dei vaccini Antinfluenzale e Anti-SARS-CoV-2, Anti-pneumococcico, Anti-Herpes Zoster, Antimeningococcico, Anti-Epatite B, Anti-Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) e anti-Varicella”.
Al questionario proposto da AMD ai propri pazienti per sondare la loro conoscenza su questi temi, hanno risposto in 430, da tutto il Paese, per oltre il 50% over cinquantenni, 62% donne, 38% uomini, 60% con diabete tipo 1 e quasi 40% con tipo 2. “Quando abbiamo chiesto quali fossero, secondo loro, le vaccinazioni raccomandate alle persone con diabete, la stragrande maggioranza degli intervistati ha risposto Antinfluenzale e Anti-Covid, citate rispettivamente dall’81% e dal 65% del campione”, illustra Marcello Monesi, Segretario del Consiglio Direttivo Nazionale AMD e componente del board nazionale diabete e vaccini AMD. “A ‘metà classifica’ Anti-pneumococcica (52%) e Anti-Herpes Zoster (45%); chiudono, citati da meno del 30% dei rispondenti, i vaccini per tetano, meningite, morbillo/parotite/rosolia, virus respiratorio sinciziale, pertosse e difterite. Osservando i dati sulle vaccinazioni effettivamente eseguite, dopo Covid e influenza, per cui riferisce di essersi vaccinato rispettivamente l’84% e il 75% del campione, tutte le altre patologie registrano tassi di immunizzazione sotto il 40%, con Herpes Zoster e meningite addirittura sotto il 20%”.
“Risulta evidente – prosegue l’esperto – come occorra far crescere la consapevolezza dei nostri pazienti circa i rischi cui sono esposti in caso d’infezione. Con il Fuoco di Sant’Antonio, ad esempio, vi è un rischio aumentato di andare incontro a ulteriori gravi patologie come l’ictus. Ma i pazienti non lo sanno. Il 24% degli intervistati che non si sono sottoposti a vaccinazioni ritiene di non avere sufficienti informazioni e quasi il 20% di non aver ricevuto specifiche raccomandazioni da parte del proprio medico curante. Il 92% di tutti i rispondenti, inoltre, vorrebbe ricevere questa sollecitazione proprio dal diabetologo, il cui consiglio, anche in tema di vaccinazione, ha un peso specifico molto importante. Il team diabetologico dovrebbe, quindi, lavorare per l’empowerment della persona con diabete, non solo sulla gestione della terapia, il monitoraggio glicemico, l’alimentazione e l’attività fisica, ma anche sull’opportunità di vaccinarsi perché questo aspetto concorre altresì a migliorare i suoi outcome di salute”.
“Proteggersi dalle malattie infettive e dal maggior rischio di un loro decorso grave deve essere una priorità delle persone con diabete”, aggiunge Riccardo Candido. “L’esigenza di maggiore informazione in proposito, emersa dalla survey, è il motivo per cui abbiamo deciso di lanciare la campagna di sensibilizzazione ‘Con il diabete vacciniamoci’ che intende ribadire l’importanza della prevenzione vaccinale, rivolgendosi a persone con diabete, associazioni pazienti, caregiver e Istituzioni. Vivrà negli ambulatori di diabetologia di tutt’Italia, con la distribuzione di locandine e brochure informative, e sui nostri canali social. Ma servirà anche un’attività di formazione verso i diabetologi per indurli ad affrontare il tema con i pazienti durante l’attività ambulatoriale. Sarà sempre più necessario collaborare con i dipartimenti di prevenzione per creare, anche all'interno delle strutture di diabetologia, percorsi dedicati all’immunizzazione grazie ai quali, in giornate ad hoc, le persone con diabete possano valutare le vaccinazioni da loro già eseguite e programmare quelle necessarie”.
“Anche la nostra Associazione, che raccoglie impressioni, richieste e dubbi delle persone con diabete, in linea con i risultati della survey AMD, ha ricevuto il feedback di una mancanza d’informazione sul tema delle vaccinazioni”, evidenzia Marcello Grussu, Vicepresidente di Diabete Italia. “Escluse le patologie più impattanti, per le quali esistono campagne di comunicazione che producono un discreto effetto e la risposta vaccinale della popolazione, altre infezioni non rientrano nella quota di conoscenza dei pazienti in misura sufficiente a far sorgere in loro la richiesta di immunizzazione. L’informazione su queste patologie, e sui rischi che possono avere per la gestione del diabete, deve, quindi, essere maggiore e a più livelli. Le Associazioni pazienti possono svolgere un ruolo prezioso in tal senso, facendo da raccordo tra il sistema sanitario e le persone. Accogliamo con favore la campagna di sensibilizzazione promossa da AMD e siamo disponibili per amplificarne i messaggi, nella convinzione che fornire strumenti di conoscenza sia essenziale per raggiungere l’obiettivo di una maggiore copertura vaccinale della popolazione”.
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Sintomo di esordio o complicanza successiva, l’Epilessia costituisce una comorbidità frequente in chi è affetto da tumore cerebrale: l'Epilessia tumore-relata costituisce il 6-10% di tutti i casi di Epilessia e il 12% delle Epilessie acquisite ed è il sintomo più comune nelle persone con tumore cerebrale.
Esistono tumori cerebrali che di per sé presentano un basso rischio di evoluzione sfavorevole, ma sono molto frequentemente causa di crisi epilettiche spesso farmacoresistenti. In molti di questi casi, è possibile intervenire chirurgicamente, anche e soprattutto per ottenere il controllo delle crisi.
Purtroppo, le crisi epilettiche sono spesso associate anche a tumori cerebrali con vari gradi di malignità; in questo caso, l’intervento chirurgico riveste un duplice ruolo terapeutico: oncologico ed epilettologico.
In occasione del mese di ottobre dedicato alla prevenzione oncologica, la LICE, Lega Italiana Contro l’Epilessia, con il suo Gruppo di Studio Epilessia e Tumori, accende i riflettori su questo delicato tema: “In questi casi, l’Epilessia, quando presente, incide sfavorevolmente su una qualità della vita già spesso precaria: le crisi sono talora difficili da controllare, e oltre che un problema medico sono motivo di ulteriori restrizioni nella vita quotidiana. – sottolinea il Prof. Carlo Andrea Galimberti, Presidente LICE - I farmaci anticrisi sono necessari ma, a volte, accentuano il disagio psicologico e i problemi cognitivi già legati alla presenza del tumore e agli esiti dei provvedimenti chirurgici. Inoltre, la scelta dei farmaci anticrisi deve tener conto delle prospettive terapeutiche (Chemioterapia e Radioterapia) ed esistenziali del singolo paziente”.
L'Epilessia-tumore relata ha, infatti, caratteristiche peculiari: “Innanzitutto, le persone affette da questo tipo di Epilessia – ricorda la Dott.ssa Giada Pauletto, responsabile Gruppo di Studio Epilessia e Tumori cerebrali, LICE - sono più a rischio di ridurre la terapia o di sospenderla per effetti collaterali da farmaci anticrisi non tollerabili. Non sappiamo bene perché questo avvenga, probabilmente per caratteristiche intrinseche, per l'interazione con altri farmaci, ad esempio con i corticosteroidi, oppure per una minore tollerabilità proprio a livello psicologico. Ci sono, inoltre, dei limiti terapeutici nell’utilizzo di alcuni farmaci anticrisi a nostra disposizione, proprio perché possono interagire con gli steroidi, i chemioterapici e la radioterapia. Infine, è da sottolineare un’aumentata farmacoresistenza in questo tipo di pazienti”.
Se consideriamo globalmente la farmacoresistenza, nelle persone affette da Epilessia si arriva ad un’incidenza di circa il 30%, mentre nei casi di Epilessia tumore-relata si può arrivare sino a un 40%.
“La terapia antiepilettica nelle persone con tumore cerebrale è il frutto di una decisione complessa che deve tener conto di più fattori – aggiunge la dott.ssa Eleonora Rosati, referente LICE del gruppo di studio su Epilessia e Tumori. Se, in prima battuta, si raccomanda l’impiego di farmaci indicati per l’epilessia focale, le caratteristiche che principalmente orientano il clinico verso una scelta mirata nel singolo paziente sono l’efficacia e la tollerabilità, vista la possibile farmacoresistenza e l’alta incidenza di eventi avversi in questa popolazione di individui”.
Per minimizzare il rischio di interazioni farmacologiche con le terapie oncologiche o quelle usate per altre comorbidità, i farmaci che non siano induttori o inibitori enzimatici sono, in generale, da preferire. Un altro criterio di scelta è rappresentato dalla disponibilità di formulazioni per somministrazione endovenosa o in soluzione per via orale, utili, ad esempio, nella gestione delle urgenze. Anche la possibilità di un rapido aggiustamento del dosaggio di un farmaco fino al raggiungimento dell'effetto terapeutico desiderato può rappresentare un vantaggio, considerando che la necessità di un rapido cambiamento terapeutico o di trattare crisi subentranti sono, in questi casi, tutt’altro che infrequenti.
Gli effetti sulle comorbidità come quella psichiatrica o cognitiva hanno, inoltre, un ruolo importante nella selezione di un farmaco e fanno propendere per l’impiego di farmaci con bassa probabilità di influire sfavorevolmente sulle performance cognitive e sull’umore.
Con oltre 50 milioni di persone colpite nel mondo, l’Epilessia è una delle malattie neurologiche più diffuse, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’Epilessia come malattia sociale. Si stima che nei Paesi industrializzati interessi circa 1 persona su 100: in Italia soffrono di Epilessia circa 600.000 persone, ben 6 milioni in Europa. Nei Paesi a reddito elevato, l’incidenza dell’Epilessia presenta due picchi, rispettivamente nei primi anni di vita e dopo i 75 anni. Nel 2022 l’OMS ha ratificato il Piano d’Azione Globale Intersettoriale per l’Epilessia e gli altri Disturbi Neurologici 2022 – 2031 (Intersectorial Global Action Plan for Epilepsy and other Neurological Disorders, IGAP), il primo piano d’azione globale sulla gestione dell’epilessia, che detta fondamentali obiettivi per gli Stati Membri nei prossimi dieci anni. Gli scopi principali dell’IGAP sono: ottenere l’assistenza sanitaria universale con la fornitura di medicinali essenziali e tecnologie di base necessarie per la loro gestione; l’aggiornamento delle politiche nazionali esistenti riguardo l'Epilessia e gli altri disturbi neurologici, con idonee campagne di sensibilizzazione e programmi di advocacy; la realizzazione di programmi intersettoriali destinati alla promozione della salute del cervello e alla prevenzione dei disturbi neurologici; lo sviluppo di un’idonea legislazione al fine di promuovere la lotta allo stigma e proteggere i diritti umani delle Persone con Epilessia.
Società scientifiche, associazioni pazienti e istituzioni firmano 'Patto per eliminazione Epatite C'
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di Rossella Gemma
È accaduto al termine dell'evento 'Epatite C: Obiettivo eliminazione, il momento è adesso. Strategie e modelli organizzativi per riscrivere la storia delle epatiti virali', a cui hanno preso parte decisori pubblici nazionali, regionali e territoriali, rappresentanti delle istituzioni, delle società scientifiche e dei pazienti, esperti e professionisti sanitari e sociosanitari.
Due le azioni al centro dell'incontro odierno promosso da Gilead Sciences: prorogare l'attuale programma di screening gratuito per l'epatite C a tutto il 2025, promuovendolo con maggior efficacia, ed estenderlo anche ai nati tra il 1948 ed il 1968, oltre all'attuale coorte di nascita 1969-1989, oggi considerata. Due azioni indispensabili e prioritarie secondo gli esperti riuniti questo pomeriggio nella Capitale per raggiungere l'obiettivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di eliminare questa infezione entro il 2030.
E sulla base dei dati presentati durante l'incontro, per metterle in pratica non sono necessari fondi aggiuntivi rispetto ai 71,5 milioni di euro già stanziati attraverso il Decreto Milleproroghe, per la maggior parte ancora non utilizzati, anche a causa della bassa adesione. Nel corso dell'evento, infatti, è emerso come la copertura dello screening abbia raggiunto solo l'11% della popolazione generale tra i 35 e i 55 anni.
"L'epatite C– ha spiegato la presidente dell'Associazione Italiana Studio del Fegato (Aisf), Vincenza Calvaruso– è una malattia infiammatoria del fegato causata dal virus Hcv. Nella maggior parte dei casi l'infezione evolve in epatite cronica, fibrosi, cirrosi e carcinoma epatico. Questo processo dura molti anni, durante i quali l'infezione resta silente. È quindi molto difficile stimare il cosiddetto sommerso e pertanto, per raggiungere l'obiettivo dell'eradicazione dell'epatite C, è essenziale in primo luogo non fermare il programma di screening ma continuare ad assicurarlo e implementarlo ovunque non sia ancora partito per tutte le popolazioni target".
Il programma di screening per l'epatite C è stato lanciato in Italia nel 2020, con l'intento di individuare le infezioni sommerse e trattarle precocemente, per ridurre la trasmissione del virus e l'incidenza delle gravi complicanze correlate. Il programma è destinato a tre popolazioni target: i nati tra il 1969 e il 1989, le persone seguite dai Servizi per le dipendenze (Ser.D.) e le persone detenute. Grazie allo stanziamento di 71,5 milioni di euro, dal 2020 al 2024 il nostro Paese ha continuato a implementare e rafforzare lo screening per l'Hcv con aggiornamenti legislativi e iniziative sanitarie.
"Lo screening- ha evidenziato il direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), Massimo Andreoni- ha permesso di identificare ad oggi oltre 10.000 persone che non sapevano di avere l'infezione da Hcv e che in molti casi abbiamo potuto avviare al trattamento. Questi risultati sono stati ottenuti nonostante il programma abbia subito ritardi e in molte regioni non sia stato completamente implementato. Risultati che danno un importante segnale sulle potenzialità dello screening".
Per Massimo Andreoni "è fondamentale che venga prorogato, ampliato a fasce di popolazione più ampie, attivato in tutte le regioni e anche promosso con campagne di sensibilizzazione e comunicazione efficaci. Stiamo finalmente assistendo a una riduzione delle complicanze da epatite C, ma se lo screening dovesse venire interrotto, queste torneranno certamente ad aumentare, con un impatto inevitabile sul Sistema Sanitario Nazionale".
Secondo i dati del Report 'Eliminazione dell'Epatite C in Italia- Stato dell'arte e possibili nuove strategie regionali', realizzato da Isheo per Gilead Sciences, al 31 dicembre 2023 erano state testate oltre un milione di persone ed erano stati identificati oltre 10.000 casi di infezione da Hcv attiva. Un risultato senza dubbio importante ma di certo non sufficiente, anche considerando che il termine del programma di screening è previsto per la fine di quest'anno.
Presentato nel corso dell'evento, il documento contiene un'analisi dell'implementazione del programma di screening a livello nazionale e regionale, le stime del budget utilizzato e di quello rimanente, della numerosità della coorte 1948-1968, dei costi dell'eventuale ampliamento dello screening a questa popolazione e dei risparmi per il sistema sanitario.
Come anticipato, soltanto l'11% della popolazione generale della coorte 1969-89 è stata sottoposta a screening e la stima del budget rimanente rispetto al fondo stanziato è stata calcolata pari a 61.644.920 euro. Il numero di pazienti eleggibili allo screening con l'estensione alla popolazione 1948-68 è risultato pari a 31.539.490 e la copertura economica necessaria è stata stimata in 58.380.040 euro: una spesa quindi sostenibile, perché inferiore alla rimanenza dei fondi già stanziati.
"Per quanto riguarda lo screening nazionale finalizzato al raggiungimento degli obiettivi Oms- le parole del presidente EpaC Ets, Ivan Gardini- è necessario fornire alle regioni una certezza di stabilità sul lungo periodo, almeno fino al 2030, rendendo lo screening strutturale e non sperimentale come è attualmente, apportando tutte le modifiche normative del caso, concertate con regioni, società scientifiche e associazioni pazienti".
"È assolutamente auspicabile una strategia sanitaria globale sulla prevenzione delle infezioni trasmissibili- ha poi precisato- ma che possa trovare concrete possibilità di attuazione attraverso una solida base normativa ed economica, almeno per l'epatite C".
"Da oltre 20 anni Gilead Sciences è in prima linea nella lotta alle epatiti virali– ha concluso Frederico da Silva, VP e General Manager di Gilead Sciences Italia– con lo sviluppo di soluzioni che hanno migliorato radicalmente la vita dei pazienti e rivoluzionato la storia delle epatiti, in particolare dell'epatite C. Abbiamo dato un contributo significativo e vogliamo continuare a farlo, al fianco delle istituzioni nazionali, locali e di tutti i partner del sistema salute, andando oltre le terapie. Riteniamo fondamentale promuovere lo screening per far emergere le infezioni sommerse, affinché a tutti i pazienti siano garantite le stesse possibilità di cura e possa essere raggiunto l'obiettivo Oms di eliminazione dell'epatite C entro il 2030".
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di Rossella Gemma