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di Rossella Gemma

La prevenzione e la salute al femminile sono importanti. Il corpo della donna richiede, infatti, attenzione e cure mirate, diverse e specifiche per ogni età e fase della vita. Allo stesso modo è fondamentale avere la giusta formazione e gli strumenti più adeguati, per prevenire e prendere in carico le patologie che possono compromettere il benessere della donna, della coppia e della diade madre-neonato.

EuTylia Academy, network di formazione ed aggiornamento professionale per medici ed operatori sanitari specializzati nella salute della donna, presenta il programma di corsi per il 2023. I massimi esperti a livello nazionale interverranno su temi di grande attualità, con un focus sulle ultime novità scientifiche e tecnologiche e sulle best practices in ambito ginecologico ed ostetrico. “I disturbi del ciclo: conoscerli per curarli”, Responsabile scientifico il Prof. Costantino Di Carlo (Policlinico Università Federico II di Napoli) e l’intervento del Prof. Carlo Alviggi (Policlinico Università Federico II di Napoli), aprirà, il 3 marzo, il ciclo di incontri, che si svolgeranno presso la sede di EuTylia Academy, affrontando problematiche come la diagnosi differenziale, la sindrome dell'ovaio policistico (PCOS), gli ipogonadismi, amenorree da causa ipotalamica, ipofisaria ed ovarica, Deficit ipofisario ed ovarico: dalla PMA alla preservazione della fertilità.

Quattro saranno gli appuntamenti dedicati alla diagnostica: “Ecografia ginecologica”, con la Prof.ssa Caterina Exacoustos (Dipartimento ad Attività Integrata di Scienze Chirurgiche, UOC di Ginecologia, Fondazione Policlinico Tor Vergata, Roma) e la Dr.ssa Brunella Zizolfi (Policlinico Università Federico II di Napoli), “Ecografia delle anomalie cerebrali fetali nel primo trimestre e delle anomalie del Cono-Tronco”, Responsabili scientifici il Prof. Gianluigi Pilu (Policlinico di S. Orsola, Bologna) ed il Dr. Paolo Volpe (Ospedale di Venere, Bari), “Ecografia in sala parto”, in collaborazione con il Policlinico di Milano, Mangiagalli Center e l’Università di Parma e l’intervento del Prof. Enrico M. Ferrazzi, del Prof. Tullio Ghi e della Dr.ssa Floriana Carbone ed “Ecografica Ostetrica”, in collaborazione con SIGO Young – AOGOI giovani (Presidenti Prof. Nicola Colacurci / Prof. Antonio Chiàntera).

Grande attenzione sarà riservata, inoltre, alla Colposcopia (Dr. Vincenzo M. Prestia, Ospedale di Vizzolo Predabissi, MI) ed alla Isteroscopia, con due incontri (Prof. Attilio Di Spiezio Sardo, Policlinico Università Federico II di Napoli).

Alle “Emergenze in Sala Parto” saranno, infine, dedicate tre giornate ECM, sostenute da EuTylia Academy, in collaborazione con Gruppo GEO, Gruppo Emergenze Ostetriche, Responsabile Scientifico Dott. Claudio Crescini (Ospedale Treviglio-Caravaggio di Treviglio, BG), per preparare ginecologi ed ostetriche che lavorano in sala parto ad affrontare con competenza e sicurezza le più comuni situazioni di urgenza e di emergenza, concentrandosi sulla distocia di spalle, sul parto operativo con ventosa e sull’importanza del supporto ecografico. Nei tre giorni si terrà anche una simulazione pratica di Ecografia in Sala parto (Dott.ssa Floriana Carbone e Dott. Enrico Iurlaro, Policlinico di Milano, Mangiagalli Center).

Il programma di corsi di EuTylia Academy rappresenta un'occasione unica per ginecologi ed ostetriche per aggiornare le loro conoscenze e migliorare la pratica clinica, grazie al confronto con gli specialisti del settore, per orientare la donna verso una corretta prevenzione e garantire un’assistenza sempre più sicura. Iscrizione e partecipazione ai corsi sono a titolo completamente gratuito. Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - www.eutylia.it

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di Rossella Gemma

Non può capitare nulla”. È la preoccupante convinzione con cui i giovani maschi approcciano le problematiche andrologiche e le malattie sessualmente trasmissibili. Non se ne preoccupano perché semplicemente non le conoscono, nonostante siano online praticamente tutto il giorno. Le informazioni sui rischi e sui pericoli per la salute sessuale maschile, infatti, sono spesso sommarie: ad esempio solo un ragazzo su 5 è consapevole che le malattie andrologiche possano causare infertilità. E, addirittura, oltre il 50% dei ragazzi, soprattutto i più giovani, delle 30 e più malattie sessualmente trasmissibili, arriva ad elencare soltanto l’AIDS/HIV.  Non stupisce quindi che meno del 5% degli under 35 si è sottoposto a un controllo andrologico, soprattutto da quando non c’è più la visita di leva, con il rischio di arrivare alla diagnosi di un problema molto tardi. 

Alla luce di questi dati preoccupanti diffusi dalla Società Italiana di Andrologia (SIA), per migliorare le conoscenze dei giovani e diffondere la prevenzione andrologica, la SIA ha chiamato i rinforzi e ha chiesto l’intervento dell’Esercito Italiano e della Croce Rossa Italiana (CRI). La nuova campagna di sensibilizzazione #e-SIA-prevenzione coinvolgerà infatti, nei prossimi due anni, proprio i giovani militari, la CRI, ma anche tutti i ragazzi che frequenteranno o si rivolgeranno a una delle oltre 2.500 tra autoscuole e studi di consulenza automobilistica dell’Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica (UNASCA), che aderisce alla campagna assieme alla Società Italiana Medici Certificatori (SIMCE). L’iniziativa sarà anche l’occasione per un’indagine in collaborazione con l’International University of Languages and Media (IULM), che consentirà uno studio sociologico e statistico sul tema della prevenzione e diffusione delle malattie andrologiche fra i giovani; la campagna culminerà a giugno 2023 con la Giornata Andrologica di Primavera, un grande appuntamento dedicato all’informazione che si terrà a Roma in concomitanza con il Congresso Nazionale SIA.

La campagna di sensibilizzazione andrologica #e-SIA-prevenzione vuole intercettare i giovani e far capire loro che devono e possono rivolgersi all’andrologo senza paura – spiega Alessandro Palmieri, Presidente SIA e Professore di Urologia alla Università Federico II di Napoli –. Sono 2 milioni gli under 35 con un problema andrologico, ma solo 1 su 5 sa che può compromettere la fertilità, solo il 33% dei diciottenni maschi, per esempio, usa sempre il profilattico, pochissimi hanno chiaro cosa siano le malattie a trasmissione sessuale: per oltre il 50% esiste solo l’AIDS. I ragazzi di oggi hanno le stesse conoscenze e le stesse idee di quelli di 10 anni fa, con l’aggravante che oggi la tecnologia consente un’informazione continua – avverte Palmieri -. Il fattore tempo è dunque fondamentale per evitare che patologie banali diventino irreversibili. Purtroppo molti pazienti con malattie congenite o acquisite dell’apparato riproduttivo e sessuale per vari motivi, dalla disinformazione alla timidezza e la scarsa confidenza, non si rivolgono all’andrologo e raramente ne parlano ai medici di medicina generale, finendo anche per sviluppare ansie e fobie di ogni tipo”.

La campagna si rivolge sia ai giovani militari, che, con l’aiuto dei medici e degli infermieri, saranno coinvolti anche come testimonial in spot su web e social di SIA e attraverso conferenze informative in Accademie, Scuole, Comandi e Caserme dell’Esercito Italiano, sia alle varie componenti della Croce Rossa Italiana. Entrambi potranno accedere ai materiali informativi resi disponibili online e aumentare le conoscenze sulle patologie andrologiche. 

"Da sempre l'Esercito Italiano è molto attento alla salvaguardia della salute dei giovani ed è quindi veramente un piacere poter collaborare ad un'iniziativa così meritoria – dichiara il Tenente Generale Massimo Barozzi dell’Esercito Italiano -.  Anche come medico, sono ben consapevole dell'importanza delle campagne di medicina preventiva, e in particolare in un settore misconosciuto e sottovalutato da parte della popolazione maschile italiana, ma molto spesso foriero di problematiche che possono avere serie conseguenze sulla salute, fisica e psicologica, e sulla qualità della vita e che possono essere in molti casi evitate con semplici interventi terapeutici. Un'adeguata informazione ed educazione sanitaria, come quella che sarà garantita da questa campagna, è quindi fondamentale".

“Da sempre la Croce Rossa Italiana è attiva in progetti e campagne di prevenzione volti a tutelare la salute pubblica e a promuovere stili di vita sani - aggiunge Rosario Valastro, Presidente della Croce Rossa Italiana -. Per questa ragione, abbiamo accolto con favore la proposta della Società Italiana di Andrologia di collaborare a questa iniziativa, volta ad informare i giovani sui rischi e sulla diffusione delle malattie andrologiche. Questa campagna ha il duplice scopo di rendere più consapevoli gli under 35 sulle cause e sugli effetti di questo tipo di patologie ma anche di misurare le loro conoscenze a riguardo. Due elementi fondamentali per promuovere un’educazione alla salute inclusiva e responsabile”.

La campagna inoltre vede la partecipazione di oltre 2.500 autoscuole e agenzie di pratiche automobilistiche di UNASCA, con cui vengono in contatto moltissimi giovani nella fascia dai 16 ai 35 anni per conseguire una patente di guida o gestire documenti relativi ai propri mezzi di trasporto: nelle autoscuole e agenzie e sui loro siti, oltre che sul sito web UNASCA, sarà possibile accedere ai materiali informativi o scaricarli, inoltre i medici SIMCE durante la visita per la patente informeranno i giovani in merito alla campagna. “Siamo lieti di partecipare a questa iniziativa, perché si tratta di una campagna di sensibilizzazione e di prevenzione di grande significato e utilità sociale, volta a tutelare le nuove generazioni”, commenta Antonio Datri, Presidente di UNASCA.

Le autoscuole e studi consulenza automobilistica, così come Esercito e la Croce Rossa Italiana, informeranno infatti i giovani anche in merito all’indagine in collaborazione con IULM per valutare le conoscenze, le difficoltà, le esperienze in materia di malattie andrologiche così come gli ostacoli alla prevenzione e i comportamenti a rischio. Online su web o su smartphone i partecipanti potranno rispondere a un questionario che prevede 30 domande a cui se ne aggiungono 15 per la/il partner.  

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di Rossella Gemma

C’è un nuovo tassello nella conoscenza di come il sistema immunitario combatte il cancro e soprattutto di come possa essere aiutato a farlo. Il “mantello dell’invisibilità” che i tumori indossano per nascondersi dalle nostre difese immunitarie può essere sollevato, così che l’immunoterapia possa funzionare anche contro le neoplasie che non rispondono alle terapie standard. Potrebbe essere possibile “risvegliare” la memoria immunitaria di vaccinazioni eseguite da bambini, iniettando nel tumore antigeni contro cui erano diretti i vaccini dell’infanzia, riattivando così la risposta immune contro il cancro.  

Lo suggerisce uno studio coordinato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova con l’Università di Genova, l’Università del Piemonte Orientale e ’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Segrate (Milano), appena pubblicato sul Journal for Immunotherapy for Cancer, che su modello animale ha dimostrato come questo approccio possa arrestare la crescita, fino a debellare, anche tumori molto aggressivi. I ricercatori hanno iniettato nel microambiente tumorale nanoparticelle di fibroina, una proteina della seta, usandole come un vero “cavallo di Troia”. Le cellule tumorali, “ghiotte” di fibroina, hanno assorbito le nanoparticelle e con loro l’ovalbumina che contenevano e contro cui gli animali erano già stati vaccinati. La memoria immunitaria del vaccino ha così riacceso la risposta immune, che si è diretta contro il tumore: una nuova strategia che potrebbe perciò arricchire il ventaglio delle possibilità dell’immunoterapia ampliandola ai casi in cui i tumori riescono a nascondersi alle cellule-sentinella dell’organismo. 

 

L’immunoterapia consiste nell’armare il sistema immunitario dell’organismo contro le cellule tumoraliIl tumore, sin dalle sue primissime fasi, riesce spesso a nascondersi grazie ad una sorta di ‘mantello dell’invisibilità’ che gli consente di sfuggire al riconoscimento da parte del sistema immunitario e quindi di crescere indisturbato” - spiega Gilberto Filaci, direttore dell’Unità di Bioterapie del San Martino e coordinatore dello studio –  “Lo scopo delle immunoterapie contro il cancro precisa - è rendere nuovamente visibile il tumore alle cellule immunitarie, così che possano riconoscerlo come ospite indesiderato e distruggerlo. Il vaccino sarebbe l’immunoterapia ideale - sottolinea Filaci - vaccinare il paziente contro un componente del suo tumore dovrebbe far sviluppare una risposta immunitaria capace di aggredire la neoplasia, esattamente come accade contro un agente infettivo quando si viene vaccinati contro di esso. Ma i tentativi fatti per sviluppare vaccini antitumorali hanno spesso fallito in termini di efficacia clinica perché i tumori riescono a impedire o spegnere le risposte immunitarie contro le proprie componenti molecolari. I tumori però nulla possono contro le risposte immunitarie già esistenti, come quelle che si sviluppano quando ci si vaccina da bambini contro il tetano, l’epatite virale o la difterite – sostiene Filaci - I pazienti con tumore non contraggono queste malattie proprio perché mantengono la protezione immunitaria contro di esse”. Da qui è nata l’idea di rendere il tumore visibile come se fosse un bersaglio contro cui si è già stati vaccinati in precedenza, in modo da dover soltanto risvegliare una risposta immunitaria già presente. 

Per farlo i ricercatori hanno utilizzato modelli animali di melanoma e di tumore della vescica; gli animali sono stati precedentemente vaccinati contro l’ovalbumina, quindi una volta che il tumore si è sviluppato sono state iniettate nella neoplasia nanoparticelle contenenti ovalbumina, tre volte a distanza di una settimana. Reindirizzando contro il tumore la potente risposta immune, che deriva da una vaccinazione precedente allo sviluppo della malattia, è stato possibile l’arresto della crescita o, in alcuni casi, la scomparsa della massa tumorale.

Per introdurre all’interno del tumore l’antigene, l’ovalbumina, contro cui era stato eseguito il vaccino, abbiamo utilizzato un vero e proprio ‘cavallo di Troia’, ovvero nanoparticelle di fibroina – racconta Marina Torre, ordinario di Tecnologia Farmaceutica all’Università del Piemonte Orientale -. I tumori sono particolarmente ‘ghiotti’ di queste piccolissime particelle, che possono essere caricate di ovalbumina e iniettate direttamente nel tumore, riempiendo letteralmente le cellule cancerose di antigene. Il sistema immunitario dei topolini vaccinati si accorge subito della presenza di ovalbumina nel tessuto neoplastico, aggredendolo: questo ha consentito di arrestare la crescita del tumore e, in molti animali, ha portato alla sua completa distruzione”.

"L’analisi proteomica dei tessuti ha confermato l’efficacia del trattamento ed evidenziato come il microambiente tumorale si sia drasticamente modificato – aggiunge Dario Di Silvestre, ricercatore dell’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNRe componente del team di Proteomica e Metabolomica che ha collaborato allo studio – 245 e 332 proteine sono risultate differenzialmente espresse rispettivamente dal melanoma e dal tumore della vescica negli animali che hanno ricevuto le nanoparticelle rispetto ai controlli. L’effetto ha avuto un impatto evidente su diversi meccanismi molecolari, inclusi quelli relativi alla progressione tumorale e alla formazione di nuovi vasi sanguigni che nutrono i tumori. Approcci computazionali nell’ambito della biologia dei sistemi hanno inoltre messo in luce la centralità di specifiche proteine, nella risposta immunitaria attivata dal trattamento e nella cascata di eventi susseguenti. Ruolo che le candida a target d’indagine e approfondimento per studi futuri.”

“Questa strategia immunoterapica innovativa presenta numerosi vantaggi - conclude Filaci - Può infatti essere applicata a ogni paziente, perché l’unico requisito richiesto è che sia stata ricevuta almeno una vaccinazione pediatrica che possa essere sfruttata per reindirizzare contro il tumore la risposta immune. Inoltre, l’approccio è possibile contro ogni forma di tumore e la procedura di somministrazione è molto semplice e praticabile ovunque, perché è sufficiente pungere il tumore per iniettare le nanoparticelle caricate con l’antigene giusto, senza necessità di attrezzature sofisticate. Naturalmente rimane molta strada da fare prima che questo nuovo approccio terapeutico possa essere somministrato ai pazienti, ma cercheremo di percorrere rapidamente le tappe necessarie a raggiungere questo traguardo”. 

 

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di Rossella Gemma

Dallo yoga all’agopuntura, dalla nutrizione personalizzata a specifici programmi di fitness, fino a consulenze psicologiche e integratori naturali. Le cosiddette ‘terapie integrate’ possono essere di grande aiuto per le donne in cura contro un carcinoma mammario. Possono infatti rendere i trattamenti più sopportabili, favorendo così l'aderenza terapeutica, e anche più efficaci. Tuttavia, nel nostro Paese meno di una paziente con tumore al seno su due ricorre alle terapie integrate perché il più delle volte nessuno gliene parla o per assenza di disponibilità nella struttura in cui sono in cura. La ricerca oncologica deve concentrarsi anche su queste tematiche strettamente legate alla qualità di cura e di vita per le pazienti affette da tumore al seno. Ad alzare il velo su questa carenza sono gli specialisti della Rete Oncologica Pazienti Italia (ROPI, www.reteoncologicaropi.it), in una ricerca sull'argomento presentata in occasione del primo incontro “Terapie integrate e carcinoma mammario” che si è tenuto questa mattina a Roma presso la Fondazione Policlinico “A. Gemelli” IRCCS.

“Le terapie integrate in oncologia consistono nella combinazione di cure mediche standard con trattamenti complementari, al fine di migliorare la tolleranza alle terapie antitumorali e nella promozione di stili di vita salutari – spiega Stefania Gori, Direttore del Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar di Valpolicella e Presidente Rete Oncologica Pazienti Italia (ROPI) -. Promuovere sani stili di vita può ridurre il rischio di recidive tumorali o l’insorgenza di secondi tumori legati al persistere di abitudini comportamentali a rischio”

Nelle terapie integrate incluse nelle linee guida della SIO (Society for Integrative Oncology) accettate anche dalla Società Americana di Oncologia Medica (ASCO), vengono incluse musicoterapia, meditazione e yoga per la riduzione dell’ansia/stress; meditazione,  rilassamento,  yoga, massaggi e musicoterapia per la depressione/disturbi dell’umore; meditazione e  yoga per migliorare la qualità della vita; digitopressione e agopuntura per ridurre la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia. 

“Nonostante le numerose evidenze scientifiche che dimostrano l'efficacia delle terapie integrate nel migliorare la qualità della vita delle pazienti e, di conseguenza, anche l'aderenza terapeutica, nonché nel ridurre il rischio recidive, in Italia sono ancora sottoutilizzate – aggiunge Alessandra Fabi, responsabile della Medicina di Precisione Neoplasia della Mammella al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e, insieme alla dr.ssa Gori, coordinatrice dell’evento di questa mattina –. Questo perché in parte c'è una scarsa formazione dei medici e in parte perché non tutte le strutture prevedono al loro interno servizi e consulenze mirate a tale scopo. È importante concentrarsi anche sulla ricerca scientifica per sperimentare modalità di nuovi interventi che migliorino la qualità di vita delle pazienti oggi lungosopravviventi”.

La ricerca è stata condotta attraverso l'analisi delle risposte a circa 200 questionari sottoposti a pazienti con carcinoma mammario avanzato in fase precoce e in fase avanzata, in cura in diverse strutture in Italia, in un periodo che va da ottobre a dicembre 2022. Dai risultati – che saranno presentati da Fabrizio Nicolis- Rete Oncologica Pazienti Italia-è emerso che solo il 46% delle donne con carcinoma mammario ha utilizzato una o più terapie integrate. Di queste donne, il 74% ne ha avuto accesso al di fuori del SSN e ne ha usufruito per gestire meglio gli effetti collaterali, sia fisici che psicologici, delle terapie e della malattia. Tra le terapie integrate a cui si ricorre maggiormente ci sono le cosiddette “discipline body-mind” (22%), tra cui lo yoga, il tai chi, il Qui gong, la mindfullness; e in egual misura (22%) le cosiddette “terapie complementari”, cioè agopuntura, shiatsu, riflessologia. Seguono l'arteterapia (5%), la musicoterapia (2%) e altre non ben specificate.

“Nonostante il 96% delle pazienti ritiene di aver tratto beneficio dalle terapie integrative, il 54% delle donne con carcinoma mammario – riferisce la dr.ssa Fabi – non ne ha utilizzata neanche una. La metà di queste pazienti perché non ne ha sentito parlare, il 30% perché non ne ha voglia e tempo, e il 15% perché non ha possibilità di accedervi nella zona in cui vive”.

Tra le pazienti che hanno ricorso alle terapie integrate, il 51% si è rivolto a professionisti privati e solo il 21% ne ha usufruito presso il proprio centro di cura. Mentre il 23% ha avuto accesso grazie alle associazioni di volontariato.

“I dati indicano chiaramente la necessità di diffondere nozioni relative alle terapie integrate tra gli oncologi e tra quanti gestiscono le pazienti con carcinoma mammario – aggiunge la dr.ssa Gori – per permettere la diffusione di una cultura basata sull’evidenza relativa a queste terapie, evitando informazioni non veritiere e il ricorso a terapie alternative da parte delle pazienti. E questo è importante sia per il numero elevato di nuove diagnosi di carcinoma mammario in Italia, nel 2022 è stato infatti il tumore più frequentemente diagnosticato (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), sia per i progressi ottenuti dai trattamenti oncologici nei confronti del carcinoma mammari in fase precoce e in fase metastatica”.

“L’importanza della qualità di vita deve sempre essere un obiettivo della ricerca clinica in ambito oncologico – conclude Massimo Di Maio, Dipartimento di Oncologia, Università degli Studi di Torino, direttore dell’Oncologia dell’A.O. Ordine Mauriziano di Torino, e segretario nazionale AIOM –. Questo argomento è stato spesso relegato a endpoint ‘Cenerentola’ della ricerca, ma negli ultimi anni sta acquistando un’importanza crescente per la comunità scientifica e anche nel processo di valutazione dei farmaci da parte delle agenzie regolatorie. La ricerca oncologica deve valorizzare il punto di vista dei pazienti sulle terapie che ricevono. Trovo culturalmente importante che si discuta e si faccia formazione scientifica su questo tema”.  

 

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di Rossella Gemma

L’OMS e l’UNICEF così come il Ministero della Sanità sottolineano l’importanza di un‘assistenza che metta al centro i bisogni di salute della diade madre-neonato. La Società Italiana di Neonatologia (SIN), la Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (SIGO) e l’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), come principali società scientifiche italiane d’area perinatale, sono da tempo impegnate nel promuovere la relazione madre-bambino e l’allattamento al seno, investimenti duraturi con positivi risvolti socio-sanitari.

La moderna organizzazione delle Maternità attualmente prevede la gestione congiunta di madre e bambino, il cosiddetto rooming-in, che va proposto fornendo il necessario sostegno pratico e psicologico alla nuova famiglia.

La gestione separata di madre e neonato, prevalente in epoche passate, ostacola invece l’avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, è contraria alla fisiologia, anche dell’allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici. Facciamo riferimento in particolare al “collasso post natale” conosciuto come SUPC (Sudden Unexpected Postnatal Collapse). Si tratta di un evento improvviso ed inaspettato, molto raro (colpisce 8 neonati ogni 100 mila), ma documentato a livello internazionale. Si verifica nella prima settimana di vita, a volte a causa di patologie sottostanti non diagnosticate, ma il più delle volte in bambini apparentemente sani. Le attuali indicazioni delle società scientifiche per prevenirla si basano sull’eliminazione nei limiti del possibile dei fattori di rischio associati.

La condivisione del letto fra una madre vigile ed un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile. Le società scientifiche però attualmente raccomandano di evitare la condizione del co-sleeping, giudicata non sicura, suggerendo di riporre il bambino a fine poppata nella propria culla, in particolare quando non siano presenti altri caregiver (familiari o operatori sanitari). Questa prudenza è giustificata ben oltre la permanenza di mamma e bambino nel Punto Nascita e interessa tutti i primi 6 mesi di vita.

È però inevitabile che, nonostante tutte le cautele, mamma e bambino possano spontaneamente addormentarsi nello stesso letto. Si tratta di un evento che più che essere drammatizzato, richiede un rinforzo di informazione alle famiglie sulla sicurezza del bambino durante il sonno.

La carenza a livello nazionale del personale sanitario, pesantemente sofferta anche nell’area del percorso nascita, non è motivo sufficiente per giungere ad ipotizzare proposte assistenziali involute e di minore qualità come la gestione separata di madre e bambino.

In conclusione, SIN, SIP, SIGO-AOGOI sottolineano il valore essenziale della pratica del rooming-in, raccomandando che l’implementazione del rooming-in per essere appropriata preveda che le famiglie siano adeguatamente informate, coinvolte e supportate e che gli operatori sanitari offrano un’assistenza per quanto possibile individualizzata ed empatica in modo che l’indicazione istituzionale a praticare il rooming-in sia declinata in maniera appropriata.

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di Rossella Gemma

Il colesterolo rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il Servizio sanitario nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. Basti pensare che in Italia, ogni anno, muoiono più di 224mila persone per malattie cardiovascolari: di queste, circa 47mila sono imputabili al mancato controllo del colesterolo. I costi, in termini di spesa sanitaria diretta e indiretta sono quantificabili in circa 16 miliardi di euro l’anno. Nonostante questo scenario, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato dalle più recenti linee guida internazionali.

Fortunatamente in quest’area le terapie a disposizione, tutte estremamente efficaci, hanno portato evidenze scientifiche robuste e consolidate negli anni sul loro valore preventivo e curativo sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria, ma oggi è necessario intervenire ulteriormente perché ci sono bisogni insoddisfatti.

Su questo tema e sulle possibilità di potenziare e migliorare il percorso di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari si sono interrogati gli esperti all’evento “PNRR, IPERCOLESTEROLEMIA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE TRA BISOGNI IRRISOLTI, INNOVAZIONE E NUOVE NECESSITÀ ORGANIZZATIVE – TRIVENETO”, organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo.

Come cardiologo ho un problema molto serio: quello di garantire il target lipidico nei pazienti che hanno avuto una sindrome coronarica acuta”, conferma Claudio Bilato, Presidente ANMCO Veneto e Delegato SIPREC - Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare Triveneto. “Ciò, probabilmente, è dovuto al fatto che non riusciamo a controllare completamente quello che chiamiamo rischio residuo, nonostante le terapie mediche ottimali che mettiamo in atto. Questo rischio residuo è la somma di vari elementi: diabete, rischio trombotico, rischio di un’infiammazione cronica che si mantiene, ma soprattutto è legato al fatto che, molto spesso, non controlliamo in maniera adeguata i livelli di colesterolo LDL (che, con le nuove linee guida suggerite dalla Società Europa di Cardiologia e la Società Europea dell’Aterosclerosi, in pazienti a rischio cardiovascolare, vanno portati sotto il 55%)”.

Gli strumenti insomma ci sono, il problema è come riuscire a raggiungere il target organizzativo, per far sì che i pazienti che necessitano di cure appropriate possano avere la terapia appropriata. 

Ha parlato degli strumenti anche Nadia Citroni, Responsabile Centro Dislipidemie e Aterosclerosi, ospedale di Trento, con queste parole: “Da sempre ci occupiamo di pazienti con dislipidemia e per noi questo è un buon momento storico: siamo entusiasti di avere a disposizione nuove opzioni farmacologiche che ci permettono teoricamente di portare a target pazienti. In questo contesto di possibilità terapeutiche ci sono però dei limiti, come quello dell’intolleranza alle statine che riguarda il 9% dei pazienti trattati. Altra problematica, quella di portare a target pazienti che sono a rischio vascolare molto alto, o anche rischio estremo. Vediamo anche pazienti con ipercolesterolemia familiare, nei quali tante volte anche le opzioni terapeutiche disponibili associate non ci portano i pazienti a  target, per cui c’è un problema di non raggiungimento dei target nei pazienti che hanno eventi secondari. Altro capitolo importante sono le criticità organizzative e gestionali che hanno portato anche all’avvento di queste nuove terapie organizzative. Bisogna trovare percorsi legati nei vari contesti, per cercare di mettere insieme criteri di monitoraggio”.  

E poi c’è il problema dalla bassa aderenza terapeutica, sottolineato  da Giorgio Colombo, Direttore Scientifico CEFAT Centro Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologia Sanitarie Università degli studi di Pavia: “Secondo i dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), i soggetti sopra i 65 anni prendono più di 10 sostanze all’anno. Quello che mi spaventa non è tanto il numero dei farmaci, ma chi si prende in carico di ottimizzare queste terapie. Lo fa il medico di famiglia? Il farmacista? Questo è un tema importante che deve entrare in ambito di politica sanitaria. Ricordiamoci inoltre che l’aderenza dipende non solo dalla complessità del trattamento, ma anche dal costo del farmaco (compartecipazione del soggetto alla spesa). Più questo è oneroso, minore è l’aderenza del paziente. Ultima riflessione, è che quando aumenta la compartecipazione, si riduce l’aderenza e aumentano i costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Da qui ecco le principali strategie per aumentare l’aderenza: programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei medicinali, maggiore spiegazione in merito all’utilità dei farmaci e ai danni della loro scorretta assunzione, coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei farmaci, adozione di schemi terapeutici quanto più possibile semplificati”.

Sulla presa in carico dei pazienti si è espresso Andrea Di Lenarda, Direttore SC Patologie Cardiovascolari ASUGI: “Finché anche noi specialisti siamo frammentati nel territorio, è evidente che la presa in carico di questi pazienti per portarli a target non è facile. Una delle soluzioni che abbiamo proposto e che è stata accettata per favorire la presa in carico del paziente cronico e per aumentare la probabilità di portarlo a target, è costituire un nuovo dipartimento di cure specialistiche territoriale, che mette insieme cardiologi, diabetologi, nefrologi e pneumologi”. 

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di Rossella Gemma

Alcune persone invecchiano meglio di altre, vivono molto più a lungo della media e mantengono un buono stato di salute fino alla fase più avanzata della loro vita. Questo grazie anche al loro DNA. Il gene che codifica la proteina BPIFB4, nella sua variante LAV (Longevity Associated Variant), meglio noto come “gene della longevità”, si è dimostrato, infatti, essere molto frequente nelle persone che superano i cento anni di vita. Oggi questo gene e la proteina a esso associata confermano nuovamente il loro ruolo antiaging, mostrando di poter “ringiovanire” uno degli organi più importanti dell’organismo: il cuore. La scoperta arriva da uno studio appena pubblicato su Cardiovascular Research[1], coordinato dal professor Annibale Puca del Gruppo MultiMedica di Milano e dal professor Paolo Madeddu dell’Università di Bristol, finanziato dalla British Heart Foundation e dal Ministero della Salute italiano.

L’analisi, durata 3 anni, è stata eseguita in vitro e in vivo. Nell’ambito dello studio in vitro, a opera del team MultiMedica, le cellule del cuore di pazienti anziani con problemi cardiaci e sottoposti a trapianto, provenienti dall’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, sono state messe a confronto con quelle di individui sani. “Le cellule dei primi, in particolare quelle che supportano la costruzione di nuovi vasi sanguigni, denominate ‘periciti’, sono risultate meno performanti e più invecchiate”, spiega Monica Cattaneo, ricercatrice del Gruppo MultiMedica, primo autore del lavoro. “Aggiungendo al mezzo di coltura di queste cellule la proteina LAV-BPIFB4, ossia quella prodotta in laboratorio che corrisponde alla variante diffusa tra i centenari, abbiamo assistito a un vero e proprio processo di ringiovanimento cardiaco: i periciti dei pazienti anziani e malati hanno ripreso a funzionare correttamente, dimostrandosi più efficienti nell’indurre nuovi vasi sanguigni”.

Un risultato coerente con quanto osservato in parallelo dall’analisi in vivo condotta a Bristol su una popolazione di topi. Somministrando, tramite vettore virale, la proteina LAV-BPIFB4 a topi anziani al fine di indurre il ringiovanimento, e a topi di mezza età per prevenire l’invecchiamento, lo studio ne ha confermato l’efficacia attraverso un miglioramento della vascolarizzazione, una più efficiente gittata del sangue e un decremento della fibrosi, che sono tre aspetti chiave per valutare lo stato di invecchiamento cardiaco. Quest’ultimo risultato corrisponde a un riavvolgimento dell'orologio biologico del cuore dell’uomo di oltre 10 anni.

“La terapia genica con LAV-BPIFB4 in modelli murini (topi) di patologia aveva già dato prova di prevenire l'insorgenza dell’aterosclerosi, l’invecchiamento vascolare e le complicazioni diabetiche, e di ringiovanire il sistema immunologico”, afferma Annibale Puca, capo laboratorio presso l’IRCCS MultiMedica e professore dell'Università di Salerno, che negli ultimi venti anni ha concentrato la propria attività di ricerca sullo studio del DNA dei centenari, arrivando a identificare una variante genica denominata LAV (Longevity Associated Variant) nel gene BPIFB4, che correla positivamente con la longevità e negativamente con il grado di compromissione cardiovascolare. “Oggi abbiamo una nuova conferma e un allargamento del potenziale terapeutico di LAV-BPIFB4. Attualmente sono in corso studi in vivo che impiegano la proteina ricombinante nel cuore anziano, nel cuore diabetico e nell’aterosclerosi. Ci auguriamo di poterne presto testare l’efficacia anche nell’ambito di trial clinici su pazienti con insufficienza cardiaca”.

Dal punto di vista pratico, se le evidenze emerse in quest’ultimo studio fossero confermate dai trial clinici, in futuro una terapia con la proteina LAV-BPIFB4 potrebbe essere adottata per il ringiovanimento non soltanto del sistema vascolare e immunologico, come precedentemente descritto dal gruppo di ricerca del professor Puca, ma anche della pompa cardiaca.

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di Rossella Gemma

Buone le notizie che arrivano da Oltremanica: il pancreas artificiale diventa finalmente una opzione di cura anche per il diabete di tipo 2” dichiara Paolo Di Bartolo, Presidente di Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi), commentando i risultati dello studio britannico pubblicato su Nature Medicine che descrivono l’innovativo sistema ad ansa chiusa composto da un sensore per la misurazione in continuo del glucosio e una micro-pompa per l’infusione continua di insulina che grazie ad una App è in grado di aggiustare in automatico le quantità di insulina infusa in funzione dei valori del glucosio mantenendoli nei target desiderati e minimizzando il tempo trascorso in ipo e iperglicemia.

I dati condivisi dai colleghi del gruppo di Cambridge fanno riferimento ad una tecnologia che già aveva dimostrato la propria efficacia nel diabete di tipo 1 e nelle persone con diabete di tipo 2 in dialisi. Questo nuovo studio ha valutato il sistema CamAps Hx in una specifica sottopopolazione di persone con diabete tipo 2, per le quali questo dispositivo potrebbe rappresentare, in futuro, una possibile proposta terapeutica”. Lo studio fa riferimento a persone con diabete di tipo 2 con un’età di circa 59 anni, una lunga durata di malattia ed un diabete non in controllo ottimale, già avviati a terapia insulinica intensiva da circa 8 anni. “Una categoria di pazienti” specifica Di Bartolo, “che la comunità diabetologica prevede e auspica possa ridursi sensibilmente in ragione di un sempre maggiore ricorso alle terapie più innovative oggi disponibili che hanno dimostrato efficacia sia nel miglioramento del controllo glicemico, sia nella riduzione del rischio cardio-renale”.

“La soluzione messa a punto nel Regno Unito potrebbe rappresentare un valido alleato per lo specialista in alcune situazioni cliniche, oltre ai pazienti arruolati nello studio immaginiamo ad esempio all’esordio in pazienti molto scompensati, ma potrebbe rappresentare anche uno strumento per il superamento dell’inerzia terapeutica nella titolazione della terapia insulinica e la riduzione dei rischi di ipoglicemia che sono elevati in corso di terapia insulinica e spesso rappresentano una barriera alla piena aderenza del paziente alla terapia prescritta. Restano da verificare – conclude Di Bartolo – la sostenibilità economica di tali soluzioni, in Italia sono oltre 600.000 i pazienti in terapia insulinica, e l’attitudine nelle diverse fasce di età delle persone con paziente con diabete di tipo 2 all’impiego di tali tecnologie, in Italia solo il 11 % di tale popolazione ha una età inferiore ai 55 anni”.

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di Rossella Gemma

In Italia, ogni anno, per malattie cardiovascolari muoiono più di 224.000 persone: di queste, circa 47.000 sono imputabili al mancato controllo del colesterolo. Il colesterolo, infatti, rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il servizio sanitario nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. La spesa sanitaria diretta e indiretta è quantificabile in circa 16 miliardi euro l’anno. Nonostante questo scenario, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato dalle più recenti linee guida internazionali. In questa area fortunatamente le terapie a disposizione, tutte estremamente efficaci, hanno portato evidenze scientifiche robuste e consolidate negli anni sul loro valore preventivo e curativo sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria, ma oggi è necessario intervenire ulteriormente perché ci sono bisogni insoddisfatti.

Su questo tema e sulle possibilità di potenziare e migliorare il percorso di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari si sono interrogati gli esperti all’evento “PNRR, IPERCOLESTEROLEMIA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE TRA BISOGNI IRRISOLTI, INNOVAZIONE E NUOVE NECESSITÀ ORGANIZZATIVE, organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo.

“Il tema dell’eccesso di colesterolo e delle relative azioni da mettere in campo per ridurlo è proprio il classico tema che costituisce una sfida importante in un settore di programmazione che possa dare dei risultati a lungo termine - ha spiegato Carlo Picco, Direttore Generale ASL Città di Torino -. In una grande ASL come la nostra, dove attorno ai presidi ospedalieri di primo e secondo livello c'è un territorio piuttosto vasto in cui le malattie croniche vengono affrontate con i Pdta anche in maniera multidisciplinare, un occhio alla prevenzione è assolutamente fondamentale. Sappiamo che l'equilibrio tra la spesa farmaceutica e il beneficio di avere una minore possibilità di sviluppare complicanze in ambito cardiovascolare, in particolare ma non solo, ci mette sempre in una condizione di difficile contesto perché vorremmo vedere i risultati subito. Tuttavia stiamo lavorando sugli stili di vita e ad un progetto di attività fisica prescritta dai sanitari, a livello di Azienda Zero, che possa essere gestita dagli enti del territorio, pubblici e privati, in un contesto di prezzo calmierato che potrebbe dare a molti l'occasione di utilizzare le varie strutture sul territorio per lavorare su stili di vita sani. Inoltre stiamo portando avanti gli studi di sostenibilità e i piani di fattibilità della spesa farmaceutica, abbiamo già presentato alcune proposte al settore regionale. Insomma, siamo impegnati in questo contesto che deve avere un occhio di riguardo alla macro economia regionale e un occhio alla clinica e ai benefici clinici. Abbiamo i professionisti per tutte e due queste visioni e quindi le metteremo insieme per cercare di fare bene”.

“L'ipercolesterolemia è uno dei fattori di rischio cardiovascolari più importanti, ma tra i più correggibili con specifiche terapie, anche se non sempre si assiste ad una buona aderenza terapeutica. Ecco perché la medicina di iniziativa con la prevenzione primaria e secondaria è fondamentale per strutturare una risposta sanitaria di medicina personalizzata e di precisione anche in questo settore – ha spiegato Alessandro Stecco Presidente IV Commissione regionale Sanità e Assistenza sociale, Regione Piemonte -. Si deve puntare sempre di più all'integrazione ospedale-territorio, e il DM77 con il PNRR che vede l’organizzazione delle Case di Comunità e delle COT, sono opportunità per intraprendere una svolta anche in questo settore, vedendo al centro la collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti ambulatoriali”.

Secondo Alessandro Stecco “è necessario basarsi anche sui cardini fondamentali rappresentati da prossimità, innovazione, digitalizzazione, ricerca e competenze professionali, che in Regione Piemonte, su nostra proposta legislativa approvata, abbiamo voluto inserire tra le funzioni di Azienda Zero, una super azienda sanitaria che si occuperà del coordinamento di funzioni strategiche per la sanità regionale come queste”.

I farmacisti nell’erogazione del farmaco, in ospedale o sul territorio, possono essere un anello importante per affrontare il problema della scarsa aderenza alla terapia e la telemedicina può venire in aiuto. “L’ipercolesterolemia soprattutto in pazienti ad alto rischio cardiovascolare, in questo momento rappresenta una patologia sicuramente paradigmatica proprio per il tema della terapia che è sempre di più personalizzata. I nuovi farmaci vengono erogati dalle farmacie ospedaliere in distribuzione diretta e questo ci coinvolge, come farmacisti ospedalieri, sempre di più. Oggi quindi stiamo lavorando per cercare di rendere sempre più fluido il percorso di presa in carico dei pazienti dal punto di vista della terapia proprio perché dobbiamo cercare il più possibile di garantire la corretta aderenza del paziente a questi trattamenti che, sappiamo, possono portare dei grossi benefici di efficacia, di riduzione importantissima di rischio cardiovascolare e di esiti infausti, ma devono essere ben assunti dai pazienti” ha spiegato Paola Crosasso, Direttore SC Farmacie Ospedaliere, ASL Città di Torino. “Credo che per controllare l’aderenza del paziente alle terapie la telemedicina abbia un ruolo importante dal momento che queste terapie sono di prossimità”.

“ll tema di oggi è sicuramente caldo perché parliamo di sostenibilità e credo che tra i vari determinanti della sostenibilità forse uno di quelli su cui bisognerà fare molti ragionamenti in futuro è proprio la parte dei farmaci perché è quella più complessa da controllare in quanto le procedure che portano poi all'utilizzo del farmaco sono un po' meno complesse rispetto ad altri setting – ha spiegato Franco Ripa, Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria, Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte -. Quindi dobbiamo stringere un'alleanza tra tutti, tra chi si occupa più di aspetti manageriali e clinici per cercare di trovare un modello che deve essere assolutamente legato all'innovazione perché ci permette di curare meglio e di aumentare la qualità della vita”.

 

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di Rossella Gemma

Quest’inverno, dopo due anni di scarsa circolazione virale a causa delle misure di prevenzione legate alla pandemia che ha portato un minor allenamento delle difese immunitarie da parte di bambini e ragazzi, ci si aspettava una maggiore facilità ad ammalarsi. E la presenza, oltre al virus influenzale, di altri virus parainfluenzali, del virus respiratorio sinciziale, anch’esso quest’anno comparso in anticipo, e del Covid 19 comporta come conseguenza un sovraccarico dei Pronto Soccorsi. Dai pediatri SIP, Società Italiana di Pediatria, arriva un appello rivolto ai genitori: vaccinare i bimbi contro l’influenza, un’arma efficace e sicura per proteggere i più piccoli nei confronti dei virus influenzali per i quali si prevede la maggiore circolazione. “Se non lo si è fatto ancora-spiega la Presidente della Società italiana di Pediatria, Annamaria Staiano- non si perda tempo: questo è il momento giusto per vaccinare il proprio bimbo, anche se senza patologie croniche o fragilità. Ricordiamo che la vaccinazione è particolarmente raccomandata per tutti i bambini di età compresa tra 6 mesi e 6 anni, e per tutti i soggetti di ogni età con patologie croniche che aumentano il rischio di complicanze in corso di influenza. È importante sottolineare che proteggendo i più piccoli si proteggono anche i fragili di tutte le età e gli anziani in famiglia: in vista delle Feste questo è un altro fattore da non trascurare”.

Oltre alla vaccinazione la SIP ricorda alcune semplici regole che possono aiutare a prevenire l’influenza: evitare luoghi affollati, lavare frequentemente le mani, evitare il contatto con persone ammalate, in caso di tosse o starnuti, coprire naso e bocca con l’incavo del gomito, ventilare gli ambienti di lavoro e casalinghi aprendo le finestre. Nei luoghi affollati le mascherine, che abbiamo imparato a usare con il Covid, restano un presidio di prevenzione anche per altri virus, tra cui l’influenza.

 

Le 6 cose da sapere sull’influenza

  1. Come si manifesta l’influenza?

L’influenza si manifesta solitamente con febbre, brividi, cefalea, dolori muscolari, inappetenza e sintomi respiratori come tosse, mal di gola, congestione nasale.  Nei lattanti si osservano invece vomito e diarrea. È importante, però, consultare il proprio Pediatra di fiducia in presenza di sintomi per escludere altre malattie che possono esordire con sintomi simili.

  1. Quanti giorni dura l’influenza?

Il periodo d’incubazione del virus è di solito di 1-5 giorni. La durata della malattia è variabile da bambino a bambino, ma generalmente è di 5-10 giorni con risoluzione spontanea nella maggior parte dei casi.

  1. Quali sono le possibili complicanze?

L’influenza può causare serie complicanze come polmonite e miocardite, più frequenti nei soggetti con particolari fattori di rischio (quali malattie croniche cardiache, polmonari, neurologiche, renali, epatiche, immunodepressione). E’ opportuna una rapida valutazione se il bambino presenta comorbilità, se molto piccolo, se sta molto male, se rifiuta di mangiare e bere.

  1. Il bambino coninfluenza deve rimanere a casa? 

Il bambino con l’influenza deve rimanere a casa finché non è totalmente guarito, sia per ottenere una ripresa ottimale ed evitare ricadute ma anche per non contagiare i compagni di classe. Non basta l’assenza di febbre per definire il bambino guarito: occorre valutare se vi è ancora malessere generale o tosse insistente. In sostanza, non bisogna avere fretta e occorre consultare sempre il Pediatra in caso di dubbi.

  1. Per curare l’influenza è necessaria la terapia antibiotica?

Tenere il proprio bambino a casa, idratarlo e confortarlo sono le tre regole base che favoriscono la guarigione. L’antibiotico non serve per curare l’influenza ma per trattare eventuali sovrainfezioni batteriche. Va quindi somministrato solo in alcuni casi, su indicazione del Pediatra. Mentre per alleviare i sintomi del bambino, può essere utile la somministrazione di paracetamolo o ibuprofene in caso di febbre e/o cefalea, lavaggi nasali in caso di raffreddore.

  1. Vaccino iniettivo o spray: che differenza c’è? 

Il vaccino tradizionale è un quadrivalente che contiene virus inattivati (cioè uccisi e frammentati), somministrato per via intramuscolare. Il vaccino con spray intranasale è un vaccino sempre quadrivalente, ma vivo attenuato. Contiene microrganismi vivi ma attenuati e resi innocui. Entrambi i vaccini sono efficaci e sicuriL’indicazione su quale prodotto usare, se sotto forma di spray o di puntura, oltre che in base all’età (il vaccino spray è indicato nella fascia 2-6 anni) e alla disponibilità delle dosi, dipende dalla decisione del medico.