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del Dott. Alberto Volponi

Il Servizio Sanitario Nazionale ha compiuto, nel dicembre scorso, quarant'anni. La sua istituzione è stata una delle grandi conquiste civili degli anni '70, che chiudeva un indimenticabile, e da allora irripetibile, decennio riformatore. Il passaggio dal sistema mutualistico, fondato su un principio tecnico-assicurativo, legato, e diversamente declinato nelle prestazioni, al tipo di lavoro svolto (e se svolto!), a quello universalistico che sostanziava il principio costituzionale del diritto alla salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", è stato epocale. Il nostro Servizio Sanitario si è progressivamente affermato scalando le classifiche mondiali fino a conquistare il secondo posto della classifica OMS nel 2000. Una medaglia d'argento che abbiamo saputo difendere anche se cambiando i criteri di compilazione cambiano, ovviamente, le posizioni in classifica. Per Blomberg siamo ancora al quarto posto, per la Euro Health Consumer, dove è preminente la valutazione della soddisfazione del paziente, siamo al ventiduesimo. Nonostante le politiche dei tagli perpetrate da anni, con un numero di posti letto ridotti da cinquecentomila del '78 a duecentomila, la perdita di oltre quarantamila operatori (e sembrano non destare preoccupazione gli annunciati nuovi esodi di massa), la spesa in rapporto al PIL scesa dalla media annuale del 7,1 degli anni 2001-2006, al 6,6, una discesa che non rallenterà nei prossimi anni (6,3 programmato per il 2020) contro il 9,5 della Francia e il 9,6 della Germania, con un costo per ogni cittadino rispettivamente di 2613, 3593, 4405 euro. Nonostante ciò il nostro Servizio Sanitario è capace di dare prestazioni complessivamente superiori agli altri Paesi spendendo di meno. Altro miracolo italiano di cui forse gli operatori della sanità qualche merito lo hanno! Insomma questo nostro Servizio Sanitario sembra portare, ancora bene, i suoi quarant'anni: evocando Nanni Moretti di "Caro Diario" si può parlare di uno "splendido quarantenne" proprio nel confronto con altri Paesi. è evidente che questi riconoscimenti non possono bastare e annullare i disagi, le frustrazioni di tanti cittadini  nell'attesa, spesso messianica, per una visita specialistica o nei sovraffollati pronto-soccorso, a volte autentici gironi danteschi, e neanche ad azzerare le diseguaglianze fra aree del Paese con una crescente mobilità sanitaria, veri viaggi della speranza, in particolare dal sud verso il nord dell'Italia. Sono necessari, quindi, interventi strutturali, mettere in campo nuove idee, strategie di ampio respiro, iniziando con il ridefinire il ruolo dello Stato centrale e quello delle Regioni per assicurare l'omogenità dell'accesso alle cure, e ai trattamenti sanitari in genere, su tutto il territorio nazionale, riducendo il gap fra regioni così da evitare che, proprio per la mobilità sanitaria, quelle ricche diventino sempre più ricche a spese di quelle povere, sempre più povere. Bisognerà poi rivedere gli assetti organizzativi e la stessa natura giuridica della Asl, i rapporti di lavoro, in particolare del personale medico, per ricondurli a unicità, presupposto essenziale per una reale  integrazione fra territorio e ospedale, medicina di base e specialistica. E perché il nostro "splendido quarantenne" rimanga tale è fondamentale puntare sulla prevenzione, un vero caposaldo delle politiche sanitarie, e adottare nuove strategie sociali e sanitarie per le persone anziane che, già oggi, consumano metà della spesa sanitaria.  Purtroppo difronte a un quadro così complesso e alla necessità di scelte incisive e coraggiose ci si preoccupa al massimo di cambiare i membri del Consiglio Superiore di Sanità, organismo superfluo, se non inutile, nella sua funzione, e che per questo andrebbe abolito. Cambiamento che sembra più  ubbidire alla logica di uno spoil-system all'amatriciana, ovvero "levate tu che me ce metto io", soprattutto se nelle scelte si conferma il criterio dell'appartenenza vera o presunta a determinate aree politiche: criterio tutt'altro che scientifico! Forse la conoscenza e la competenza non sono più requisiti fondamentali. Questa può essere la preoccupante chiave di lettura di alcuni interventi legislativi quali una sanatoria, tanto per cambiare, per le figure professionali non mediche, ovvero infermieri, ostetriche, fisioterapisti e così via, diciassette figure istituite con DM del 3 maggio 1994. Con successivo DM del 27 luglio 2000 furono stabilite le equipollenze rispetto ai titoli conseguiti con precedenti ordinamenti didattici. La nuova norma prevede che coloro che abbiano esercitato una determinata professione, senza titolo specifico o non riconosciuto, per 36 mesi non consecutivi nell'arco degli ultimi 10 (pensate quanta professionalità è possibile acquisire in un arco di tempo così breve e frammentato) sono equiparati a coloro che il titolo se lo sono sudato. Quindi si riconosce il titolo a chi ha esercitato, e lo autocertifica, senza titolo: una volta si chiamava esercizio abusivo della professione. Segue lo stesso ordito la norma che prevede la possibilità di assumere nel settore dell'emergenza, il più delicato dell'organizzazione sanitaria, medici senza titolo specifico ma che abbiano svolto, negli ultimi 10 anni, 4 anni in strutture sanitarie nel settore dell'emergenza. Tom Nichols nel suo libro "La conoscenza e i suoi nemici" sottotitolo "L'era della incompetenza e i rischi per la democrazia" ci ricorda che nell'era dell'incapacità l'aspetto più grave è nel fatto che "siamo orgogliosi di non sapere le cose" e che"l'ignoranza è diventata una virtù". In una sua lettera Ernesto Rossi, economista e uno dei padri, con Spinelli e Colorni, del Federalismo europeo scriveva: "Non bastano le buone intenzioni. Ho conosciuto un bambino che credeva di far il bene d'un pesce rosso tirandolo fuori dall'acqua per asciugarlo con un fazzoletto. E molte persone grandi fanno per buon cuore quello che voleva fare il bambino. Credono di aiutare, e invece fanno solo del male, perché non sanno quali sono le conseguenze delle loro azioni. Per saperlo, almeno fin dove è possibile, bisogna studiare". L'impreparazione  è alla base di una carenza di strategie, di inventiva nel progettare soluzioni per costruire un futuro diverso. è anche questo "presentismo", ovvero affrontare e pensare di esaurire i grandi temi che ci attanagliano, da quelli dell'economia, a quelli del lavoro, della coesione sociale, dell'immigrazione nell'arco temporale di una giornata ricca di slogan sparati a raffica con twitter. Nessuno sembra proprio  avere memoria del monito degasperiano (De Gasperi: chi era costui?) che distingueva il politico che pensa alle prossime elezioni dallo statista che si preoccupa delle prossime generazioni. Siamo a Groucho Marx: "Perché dovrei fare qualcosa per i posteri? Cosa hanno fatto questi posteri per me?"