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di Rossella Gemma

Anche se il numero di procedure di cardiologia interventistica è in aumento, i livelli di accesso alle terapie sono ancora indeguati rispetto ai fabbisogni epidemiologici. Così solo poco più di 4 italiani candidabili su 10 hanno avuto accesso nel 2022 alla procedura di impianto percutaneo transcatetere della protesi valvolare aortica (TAVI) e solo 2 su 10 beneficia della procedura di riparazione percutanea della valvola mitralica. Altrettanto scarso è l’accesso a procedure di intervento mini-invasive per la prevenzione dell’ictus. Infatti solo al 2% degli italiani potenzialmente candidabili alla procedura di chiusura percutanea dell'auricola sinistra ne ha beneficiato. Parliamo di pazienti che non possono assumere, in alternativa, anticoagulanti orali (indicati in chi soffre di fibrillazione atriale non valvolare); mentre solo 1/3 dei pazienti candidabili all'intervento percutaneo di chiusura del forame ovale pervio (PFO) ne ha beneficiato; infine solo l’1%  ha avuto accesso al trattamento percutaneo dell'embolia polmonare (PE), che consente di rimuovere il coagulo di sangue grazie ad un intervento mininvasivo che aiuta a risolvere i casi più seri e ad alto rischio con controindicazione alla trombolisi. Sono in sostanza pazienti, oltre 155 mila, esclusi dalle procedure minivasive. Questi sono alcuni dei dati relativi raccolti ed elaborati dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), l'unica realtà italiana dotata di un Registro dell’attività di 273 Laboratori di emodinamica e cardiologia interventistica italiani. Il Report è stato discusso a Roma, presso il Ministero della Salute, durante il congresso GISE Think Heart, a cui hanno preso parte il Ministro Orazio Schillaci e AGENAS.

“Il Report di GISE rappresenta uno strumento importante per disporre di dati utili a migliorare la programmazione e l’assistenza. La sinergia isituzionale è una leva essenziale per accelerare il processo di efficientamento del servizio sanitario nazionale in un’ottica di maggiore resilienza e sostenibilità che il Ministero della Salute è impegnato a portare avanti. Le innovazioni scientifiche e tecnologiche in questo senso giocano un ruolo fondamentale soprattutto per superare le disuguaglianze ancora esistenti e fare in modo che tutti i cittadini possano accedervi. Su questo anche GISE con il suo contributo può costituire un valido alleato”, osserva il Ministro della Salute On. Orazio Schillaci.

Angioplastica, TAVI, riparazione della valvola mitrale e gli interventi mini-invasivi di prevenzione dell'ictus, come la chiusura dell'auricola sinistra e la chiusura del PFO hanno raggiunto e hanno addirittura superato i livelli pre-Covid, ad esclusione dell'angioplastica. Nel 2022 per esempio sono state eseguite 11.476 TAVI a fronte delle 10.103 registrate nel 2021 e delle 6.888 del 2018 o delle 8.255 del 2019. Gli interventi di riparazione della valvola mitrale sono state 1.451 nel 2022 a fronte dei 1.325 del 2021 e 1.105 del 2018 o 1.224 del 2019. Le procedure di chiusra dell'auricola sinistra eseguite nel 2022 sono state 1.878, quando nel 2021 erano 1.561 e nel 2018 solo 989. Allo stesso modo gli interventi di chiusura del PFO esguiti nel 2022 sono stati 3.978 a fronte dei 3.608 dell'anno prima e ai 3.192 del 2018. Discorso a parte per le angioplastiche: 149.993 quelle eseguite nel 2022 a fronte delle 158.689 del 2018 e 160.018 del 2019.

"Dal confronto con il panorama internazionale appare evidente come in Italia la penetrazione di alcune importanti innovazioni scientifiche e tecnologiche nel campo dell’interventistica cardiovascolare risulti inadeguata sia in termini di numero di pazienti trattati rispetto al fabbisogno, sia di disomogeneità tra le varie aree geografiche del Paese - commenta Giovanni Esposito, Presidente GISE e Direttore della UOC di Cardiologia, Emodinamica e UTIC dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli -. Uno dei principali obiettivi istituzionali di GISE è quello di presentare un piano di azione concreto che ci consenta di garantire l’accesso su tutto il territorio nazionale a cure ormai ritenute standard  secondo le raccomandazioni delle principali linee guida internazionali. Questo documento è incentrato su 4 principali ambiti di cura dell’interventistica cardiovascolare: il trattamento transcatetere della stenosi valvolare aortica, la riparazione percutanea della valvola mitrale, la prevenzione dell’ictus cardio-embolico mediante chiusura percutanea dell’auricola sinistra nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e l’ottimizzazione della rivascolarizzazione coronarica con ausilio dello studio funzionale delle lesioni coronariche. Lo scopo del documento è quello di descrivere il profilo clinico e l’impatto economico delle suddette metodiche, le attuali barriere cliniche, organizzative e gestionali per l’accesso alle cure sul territorio nazionale e le possibili soluzioni per il superamento di suddette barriere”

Il GISE si propone dunque, ancora una volta, come “alleato” strategico per lo sviluppo della cardiologia interventistica.

Fondamentale è anche la collaborazione tra GISE e AGENAS. “I nostri obiettivi comuni sono molti e diversi - spiega Esposito -: dal miglioramento dei flussi informativi e all’introduzione di soluzioni evolute volte all’assistenza dei pazienti affetti da malattie cardiovascolari; dallo sviluppo di indicatori di esito e di processo in grado di cogliere in modo più puntuale l’appropriatezza, l’efficacia e la qualità delle cure, nonché l’efficienza dei processi alla valorizzazione dei dati dei registri clinici per approfondimenti specifici su ambiti assistenziali di interesse cardiologico; fino alla valutazione dell’impatto di procedure interventistiche sugli outcome, anche al fine di identificare potenziali fattori di rischio modificabili, e all'elaborazione di documenti di indirizzo evidence-based su ambiti di incertezza clinica”.

“Ci attendono sfide importanti per il prossimo futuro - prosegue Esposito -. La sostenibilità e la resilienza del sistema sanitario passa inevitabilmente dalla capacità di programmare correttamente le risorse, garantire l’utilizzo delle tecnologie che permettono non solo il miglioramento degli outcome clinici ma anche di rispondere ai bisogni del sistema nel suo complesso. È diventato quantormai urgente affrontare e risolvere il problema della scarsità di personale e di strutture per fare fronte al maggior carico assistenziale seguito alla pandemia (es. liste attesa, mancate diagnosi). Infine - conclude - riteniamo che una corretta rilevazione di indicatori di processo, organizzativi e di outcome saranno fondamentali per la programmazione delle attività e la valutazione multidisciplinare delle tecnologie che aumentano la capacità del sistema e che saranno fondamentali per vincere queste sfide”.

“Come noto l’Agenzia, su mandato del Ministero della Salute, realizza ed aggiorna annualmente il Programma nazionale per la valutazione dei processi e degli esiti dell’assistenza sanitaria (PNE) – spiega il Direttore Generale di AGENAS Dr. Domenico Mantoan -. Il PNE, nella sua veste di osservatorio permanente sull’efficacia, l’appropriatezza clinico-organizzativa e l’equità di accesso alle cure, rappresenta un importante punto di riferimento per tutti i professionisti del Servizio Sanitario Nazionale. Nell’ambito del PNE, da diverso tempo si è intensificato il dialogo con il mondo scientifico, grazie alla sottoscrizione di specifici accordi di collaborazione e ricerca. In particolare, con la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) è stata sottoscritta una convenzione volta a sviluppare metodologie di analisi delle performance assistenziali, anche attraverso l’integrazione di dati clinici con le informazioni desunte dai sistemi informativi sanitari. Specifica attenzione è riservata alla valutazione di impatto delle procedure interventistiche sulle valvole cardiache, anche in ragione del fatto che a tutt’oggi non è possibile distinguere dai dati della scheda di dimissione ospedaliera (SDO) gli interventi cosiddetti open da quelli per via transcatetere (TAVI). A tal proposito, sono allo studio specifiche proposte per la revisione delle linee guida per la codifica della SDO”, conclude Mantoan. 
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di Rossella Gemma

Seguire l’evoluzione del tumore al cervello più diffuso e aggressivo, il glioblastoma, fin dalla comparsa delle prime cellule maligne, per aprire la strada a nuove possibilità di cura grazie a informazioni sullo sviluppo della malattia finora inaccessibili con le tecniche di indagine sperimentale convenzionali. Tutto questo oggi è possibile grazie a un ‘codice a barre’ genetico, che rende ogni cellula tumorale tracciabile e identificabile nel tempo e nello spazio, così da poter seguire passo passo la crescita della massa tumorale in un modello sperimentale nel topo. Grazie a tecniche di biologia molecolare avanzate, come l’analisi del trascrittoma, e a modelli computazionali che hanno consentito di simulare al computer l’evoluzione del tumore, è stato possibile studiare i fattori che ne influenzano la crescita, come le dinamiche di diversificazione e selezione che si instaurano fra i diversi cloni di cellule neoplastiche. L’innovativo approccio, che apre la strada a nuove scoperte e possibilità nella ricerca e nella cura del glioblastoma, è stato messo a punto da un team di ricercatori dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e del Dipartimento di Medicina Sperimentale dell'Università di Genova, guidato dal Prof Paolo Malatesta con il principale contributo di Davide Ceresa. I risultati ottenuti sono di tale rilievo da essere stati appena pubblicati su Cancer Cell, una delle riviste più importanti del settore.

Il glioblastoma, con circa 1500 nuovi casi all’anno in Italia, è il tumore cerebrale più diffuso ma anche il più aggressivo e ancora oggi poco conosciuto nelle fai iniziali. Più frequente negli uomini che nelle donne (1.6 a 1) e nella fascia d’età fra i 45 e i 75 anni, rappresenta il 45% di tutti i tumori che si sviluppano nel cervello. Le radiazioni ionizzanti, come raggi X e gamma, sono riconosciute come fattore di rischio per la comparsa del glioblastoma, che dà sintomi quando la massa tumorale, espandendosi, aumenta la pressione e dilata i vasi sanguigni provocando disturbi come mal di testa a intensità crescente, vomito, attacchi epilettici. La terapia è estremamente complessa e, sfortunatamente, non offre ancora una soluzione definitiva - osserva Paolo Malatesta, coautore dello studio, responsabile del Programma di NeuroOncologia Sperimentale del IRCCS San Martino di Genova e professore di Biologia Molecolare presso l'Università di Genova - Attualmente, l'aspettativa di vita per i pazienti affetti da glioblastoma rimane inferiore a tre anni; il miglioramento delle cure potrebbe passare tuttavia da una maggiore comprensione dello sviluppo del tumore, che è molto eterogeneo dal punto di vista cellulare ed è poco conosciuto nelle sue fasi iniziali”.

Proprio per comprendere meglio l’evoluzione della malattia fin dai primissimi stadi, i ricercatori del San Martino hanno messo a punto un modello di glioblastoma in cui fosse possibile tracciare ogni singola cellula neoplastica, nel tempo e nello spazio. “Abbiamo introdotto nelle cellule da monitorare una sorta di ‘codice a barre’, una particolare stringa di DNA che oltre a indurre la malattia consente anche di tracciare successivamente le cellule tumorali, seguendole grazie a sofisticate tecniche di sequenziamento – spiega Davide Ceresa, coautore dello studio e ricercatore al San Martino –Monitorando l’evoluzione delle cellule neoplastiche abbiamo per esempio osservato che entro il primo mese dalla mutazione in senso tumorale la maggior parte dei cloni di cellule neoplastiche scompaiono; confrontando i dati sulla crescita tumorale reale con quelli ottenuti grazie a modelli computazionali in grado di simularla in differenti scenari e condizioni, abbiamo verificato l’esistenza di fortissima selezione clonale  primi stadi di sviluppo del glioblastoma, che si mantiene anche in fasi successive. Le dinamiche di competizione cellulare sembrano perciò giocare un ruolo primario nel determinare lo sviluppo del glioblastoma, anche in stadi più avanzati della sua crescita. In sostanza, attraverso sofisticati programmi che ci permettono di simulare la crescita del tumore abbiamo potuto testare le nostre ipotesi confrontando le simulazioni con il reale sviluppo della neoplasia”. 

Grazie all’analisi del trascrittoma, ovvero dell’insieme dei geni trascritti, a livello di singola cellula, i ricercatori hanno anche identificato nel gene Myc, già noto per il suo ruolo in altri tumori, uno dei maggiori responsabili di questo processo di selezione clonale. “La diminuzione dell’espressione di Myc è sufficiente a iniziare dinamiche di competizione fra cloni di cellule maligne anche in gliomi impiantati nel cervello di animali da esperimento, confermandone l’importanza nell’evoluzione della malattia – aggiunge Malatesta –. Questo nuovo approccio, che fonde tecniche di biologia molecolare innovative con l’uso di modelli computazionali avanzati, ha permesso di raccogliere informazioni importanti sul glioblastoma ma soprattutto apre la strada a una migliore comprensione dei meccanismi di sviluppo di questo tumore: capirne a fondo l’evoluzione fin dai primissimi stadi era finora impossibile, utilizzando le tecniche convenzionali che permettono di studiarlo solo retrospettivamente, ma il tracciamento clonale e le tecniche di analisi trascrittomica potranno ora fornire nuove e importanti informazioni che serviranno a conoscerlo e combatterlo meglio”.

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di Rossella Gemma

Ogni anno in Italia vengono registrati circa 40 casi fatali di shock anafilattico. Di questi più della metà sono causati da allergie alimentari, l’altra metà è provocato da punture di imenotteri, ma il dato resta incerto e sottostimato perché questo conteggio considera soltanto i casi che balzano agli onori della cronaca, mentre molti altri sfuggono alle statistiche perché, oltre a mancare una sorveglianza nazionale, spesso non vengono classificati come tali dal personale di pronto soccorso. Per una corretta gestione dell’anafilassi è fondamentale riconoscere i primi segni e sintomi delle reazioni ed iniziare rapidamente il trattamento. L’unica modalità per rispondere prontamente ad uno shock anafilattico è la somministrazione, tempestiva, di adrenalina auto-iniettabile, raccomandata dall'EMA in numero di due prescrizioni. È dunque importante che ai pazienti allergici venga prescritta una terapia di emergenza, pronta per essere immediatamente autosomministrata. In Italia, il quadro di accesso ai dispositivi salvavita nelle diverse Regioni italiane non è omogeneo e molti pazienti allergici e a rischio shock anafilattico, sono sprovvisti di auto-iniettori di adrenalina, inoltre la classificazione dell'adrenalina in fascia H rende difficile l'accesso al farmaco salvavita da parte del paziente.

Partendo da queste evidenze, sono iniziati i lavori dell’evento istituzionale “SHOCK – Analfilassi: reazioni consapevoli” promosso da Food Allergy Italia APS, su iniziativa del Senatore Giovanni Berrino e con i patrocini di AAIITO (Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri), FOFI (Federazione Ordini Farmacisti Italiani), Siaaic (Società Italiana di Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica) e Cittadinanzattiva. L’evento, organizzato da Pharmalex – formerly MAPCOM ha voluto fare il punto sull’attuale situazione in Italia, con l’obiettivo di diffondere consapevolezza sulla tematica. “Ancora oggi in Italia si muore per anafilassi, questo perché c’è una palese difficoltà all’accesso all’autoiniettore di adrenalina da parte delle persone a rischio. Nonostante le indicazioni di EMA e AIFA, in Italia molte Regioni non garantiscono ancora la corretta erogazione di due autoiniettori a cui hanno diritto tutti i pazienti a rischio. Per questo motivo, Food Allergy Italia APS è impegnata da sempre nel sostenere il diritto di accesso al farmaco salvavita ai pazienti a rischio di anafilassi e nelle attività di sensibilizzazione per informare e formare sia le persone allergiche che le istituzioni e tutti i soggetti coinvolti nella gestione del paziente allergico riguardo all’uso degli autoiniettori di adrenalina” – ha commentato Marcia Podestà, Presidente Food Allergy Italia APS - Associazione Italiana Allergie Alimentari. L’evento istituzionale è parte dell’impegno dell’Associazione.

Nel 2022, infatti, Food Allergy Italia APSAssociazione Italiana Allergie Alimentari ha realizzato una Petizione, per chiedere il riconoscimento della 1 Bilò MB, et al. Fatal anaphylaxis in Italy: Analysis of cause-of-death national data, 2004-2016. Allergy. 2020 Oct;75(10):2644-2652 reazione anafilattica all’interno dei LEA, la riclassificazione dell’auto-iniettore di adrenalina in classe A, l’uniformità di distribuzione di 2 autoiniettori su tutto il territorio nazionale e l’attivazione di una campagna di formazione specifica per specialisti, pediatri, medici di medicina generale e di pronto soccorso. Antonella Muraro, Direttore UOSD Allergie Alimentari Centro di Specializzazione Regionale per lo Studio e la Cura delle Allergie e delle Intolleranze Alimentari, AUO Padova; Coordinatore delle Linee Guida Europee per l’Anafilassi spiega: “Come definito dalla Consensus NIH2,3 , dalle Linee Guida EAACI4 e WAO5 l'anafilassi è «una reazione allergica grave e sistemica a comparsa improvvisa che può causare morte». Fattori scatenanti sono i farmaci , punture di imenotteri (api, vespe, calabroni) o alimenti. L’ unico trattamento tempestivo di uno shock anafilattico da parte del paziente è la somministrazione immediata, per via intramuscolare, di adrenalina auto-iniettabile. È pertanto essenziale che ai pazienti venga prescritta una terapia d’emergenza nelle dosi corrette. Per tale motivo in tutte le Linee Guida internazionali viene sottolineata l’importanza dell’adrenalina auto-iniettabile come trattamento di prima linea per ottenere una rapida ed efficace risposta in caso di anafilassi”.

La gestione dei soggetti a rischio di anafilassi comporta anche numerosi costi per pazienti e loro famiglie. Le visite dallo specialista, gli esami diagnostici, i viaggi verso le strutture sanitarie specializzate e alcuni farmaci che non sono coperti dal SSN comportano un incremento dei costi per il SSN (mobilità sanitaria) accompagnato da un impoverimento dei pazienti e delle loro famiglie (c.d. “spese catastrofiche”). “Riuscire a garantire un percorso ben disegnato e condiviso mediante l'implementazione di un modello organizzativo efficiente, rappresenta un'opportunità di miglioramento dell’organizzazione accompagnato da una riduzione dei costi tanto per il Sistema Sanitario Nazionale che per il sistema sociale nel suo complesso” afferma il Professore Francesco Saverio Mennini, Direttore Centro EEHTA - CEIS, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata"; Presidente SIHTA Società Italiana di Health Technology Assessment – “La riclassificazione del farmaco salvavita in Fascia A permetterebbe il reperimento diretto anche nelle farmacie territoriali facilitando la continuità terapeutica, colmando così un'esigenza clinica, e il superamento del problema relativo alla distribuzione di due auto-iniettori con diversi meccanismi d'azione. Rappresenta la strada più corretta ed efficiente per sanare le attuali differenze tra Regioni, ridurre la mobilità sanitaria e garantire un accesso più rapido ai pazienti”.

L’attuale classificazione dell’adrenalina auto-iniettabile in Fascia H ritarda notevolmente l’accesso al farmaco per varie ragioni: carenza dei servizi allergologici, liste d’attesa molto lunghe, erogazione di numero differente di auto-iniettore da regione a regione. La riclassificazione del farmaco salvavita dalla Fascia H alla Fascia A, con reperimento diretto in farmacia territoriale, permetterebbe al SSN di rispondere alle necessità dei pazienti e renderebbe più omogeno l’accesso alla terapia. 2 National Health Institute NIH USA. 3 Sampson HA, Munoz-Furlong A, Campbell RL, et al. Second symposium on the definition and management of anaphylaxis: summary report: Second National Institute of Allergy and Infectious Disease/Food Allergy and Anaphylaxis Network Symposium. J Allergy Clin Immunol 2006. 4 European Academy Allergy and Clinical Immunology -EAACI. 5 World Allergy Organization. “Garantire a tutti i pazienti e i soggetti a rischio accessibilità immediata a tali dispositivi salva vita è un impegno che insieme ai colleghi parlamentari intendiamo portare avanti. Stiamo lavorando ad una mozione per garantire a tutti i pazienti a rischio equa accessibilità ai trattamenti disponibili e per prevedere l’inserimento della reazione anafilattica all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), al fine di abbattere le diseguaglianze di accesso regionale.” Così Giovanni Berrino, 10° Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, Senato della Repubblica.

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di Rossella Gemma

Con 6mila nuove diagnosi ogni anno in Italia, il Mieloma Multiplo (MM) rappresenta il secondo tumore del sangue più diffuso, colpendo prevalentemente una popolazione anziana. Le innovazioni terapeutiche messe a disposizione negli ultimi anni, pur non avendo ancora raggiunto l'obiettivo della guarigione, hanno permesso una cronicizzazione della patologia - con un'alternanza tra recidive e intervalli di remissione - cambiando la sua evoluzione e la storia dei pazienti, ma generando al tempo stesso una maggiore complessità gestionale. Come affrontare la nuova sfida della cronicità e come rispondere alle esigenze dei pazienti, alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione in Italia? È questo il quesito a cui cerca di rispondere il policy brief presentato a Roma 'Conoscere il Mieloma Multiplo: come migliorare il percorso assistenziale', sviluppato nell'ambito del progetto 'Conoscere il Mieloma Multiplo' promosso da Sanofi in partnership con European Myeloma Network Italy e l'Associazione 'La Lampada di Aladino ETS'.
 
Il documento, hanno fatto sapere nel corso della conferenza stampa di presentazione, mira a offrire alle istituzioni una serie di proposte operative volte a "delineare un modello di presa in carico capace di rispondere ai bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti affetti da Mieloma Multiplo", proponendo di "potenziare l'integrazione dei servizi socio-territoriali con il sistema ospedaliero" e di "delocalizzare sul territorio alcune prestazioni a bassa complessità per ridurre il burden della patologia su pazienti e caregiver". Le esperienze combinate di clinici e pazienti hanno così dato vita ad un percorso conoscitivo interattivo rivolto ai parlamentari impegnati su temi socio-sanitari e finalizzato a "mettere in luce in modo rigoroso gli aspetti più rilevanti della patologia dal punto di vista scientifico e umano", delineandone anche i bisogni ancora insoddisfatti. Il documento, in particolare, individua 10 proposte che si muovono lungo tre macro-direttrici: promuovere una maggiore integrazione tra Centri di ematologia e medicina territoriale nella presa in carico del paziente; declinare le linee strategiche del nuovo Piano Oncologico (PON) in modo da rispondere ai bisogni dei pazienti con Mieloma Multiplo; aumentare la conoscenza sul Mieloma Multiplo, a partire dai medici di medicina generale, ampliando gli esami ematici di routine da prescrivere alla popolazione over 60.
 
"Non essendo ancora disponibile una terapia che ne garantisca la piena guarigione e colpendo prevalentemente l'anziano, il Mieloma Multiplo rappresenta una vera e propria sfida per il nostro sistema sanitario nazionale- ha fatto sapere Vanessa Cattoi, della Commissione Bilancio della Camera dei deputati- Questo è dovuto soprattutto all'aumento della prevalenza, legato al progressivo invecchiamento della popolazione: secondo i dati ISTAT, infatti, entro il 2050 oltre un italiano su tre avrà un'età pari o superiore ai 65 anni. Ci tengo dunque a ringraziare i promotori del progetto 'Conoscere il Mieloma Multiplo' per aver acceso un faro su una patologia così grave e complessa e per aver portato, attraverso questo documento, delle proposte concrete per le istituzioni, volte a soddisfare le reali necessità dei pazienti e delle loro famiglie".
 
"Se da un lato gli enormi avanzamenti terapeutici hanno portato a una cronicizzazione della malattia, permettendo ai pazienti affetti da Mieloma Multiplo di godere di lunghi periodi di remissione con una buona qualità di vita - pur nella piena consapevolezza della non totale guarigione - dall'altro lato questo ha generato una complessità gestionale per tutte le figure coinvolte: i medici, i decisori e i pazienti stessi. È proprio per questo- ha spiegato Mario Boccadoro, Professore Emerito di Ematologia presso l'Università degli Studi di Torino, presidente dello European Myeloma Network Italy e vice presidente dello European Myeloma Network- che abbiamo avviato un percorso condiviso tra medici e pazienti, volto a individuare le criticità e i principali bisogni insoddisfatti, al fine di sottoporre all'attenzione delle istituzioni delle soluzioni operative concrete per una migliore gestione del percorso assistenziale".
 
"I progressi della ricerca stanno cambiando l'evoluzione di diverse malattie, tra cui il Mieloma Multiplo. Serve però un cambio di passo sulla presa in carico dei pazienti- ha sottolineato Davide Petruzzelli, presidente dell'Associazione 'La Lampada di Aladino ETS' e coordinatore nazionale di F.A.V.O. - Gruppo Neoplasie Ematologiche- per far sì che il nuovo approccio a queste patologie sia realistico, completo e di qualità. Nella fase storica che stiamo vivendo abbiamo l'opportunità di riconfigurare un sistema sanitario nazionale più vicino al cittadino, tendendo verso standard di assistenza sempre più elevati. Siamo lieti di aver preso parte a questo progetto per poter accendere i riflettori su patologie che vanno reinterpretate rispetto al passato, in un'ottica di continuo dialogo e confronto con le istituzioni".
 
"Come Sanofi- ha concluso infine Fulvia Filippini, Country Public Affairs Head di Sanofi Italia- il nostro impegno è quello di portare soluzioni terapeutiche innovative per migliorare la qualità della vita dei pazienti. Questo, tuttavia, non riguarda solo la ricerca scientifica, ma anche lo sviluppo di partnership con le associazioni di pazienti, le istituzioni e le società scientifiche al fine di rispondere appieno ai bisogni dei pazienti, permettendo di raggiungere nuovi standard di diagnosi e di prevenzione per una presa in carico corretta. Attraverso il progetto 'Conoscere il Mieloma Multiplo' abbiamo voluto costruire una alleanza tra il mondo delle istituzioni, quello dei clinici e quello dei pazienti per raggiungere l'obiettivo di trovare soluzioni ai bisogni non ancora pienamente soddisfatti di questi ultimi. Ci auguriamo che il documento presentato possa rappresentare un passo avanti concreto in questa direzione".
 
Il documento è stato redatto da un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del mondo clinico e dei pazienti: Mario Boccadoro, Professore Emerito Ematologia - Università degli Studi di Torino, Presidente European Myeloma Network Italy, Vice Presidente European Myeloma Network; Michele Cavo, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore della scuola di specializzazione in Ematologia Università di Bologna, Direttore dell'Istituto Seragnoli di Ematologia; Francesco Di Raimondo, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore Divisione di Ematologia, Azienda Ospedaliera/Universitaria Vittorio Emanuele di Catania; Maria Teresa Petrucci, Dirigente Medico presso la divisione di Ematologia - Università la Sapienza Roma; Davide Petruzzelli, Presidente dell'Associazione 'La Lampada di Aladino ETS', coordinatore nazionale di F.A.V.O. - Gruppo Neoplasie Ematologiche; e un gruppo di pazienti affetti da Mieloma Multiplo: Marco Dell'Acqua, Aurora Graziosa, Cristian Mascia, Poalo Messina, Sonia Pesapane, Marilena Pisciella.
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di Rossella Gemma

Le malattie delle valvole cardiache, principalmente stenosi aortica e insufficienza mitralica, sono una minaccia sommersa: poco note agli stessi pazienti, sottovalutate e sottodiagnosticate – pur se facilmente rivelabili con una visita cardiologica e un ecocardiogramma – colpiscono nelle forme lieve e moderata, circa un anziano su tre, con una frequenza tre volte più alta rispetto a quella del 10-12% fino ad oggi stimata. A rivelarlo, sono i risultati preliminari del primo screening cardiologico per le patologie valvolari mai realizzato in Italia, condotto dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) nell’ambito dello studio PREVASC, che mira a stimare la prevalenza e la gravità di cardiopatie molto diffuse nella popolazione anziana (fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, malattie valvolari), per l’identificazione precoce di problemi cardiaci. Lo studio ha coinvolto circa 1200 over 65 in dieci “borghi del cuore”, piccoli comuni con meno di 3mila abitanti di diverse regioni italiane, sottoposti a visita cardiologica, con elettrocardiogramma (ECG) ed ecocardiogramma.

Quanto riscontrato nell’indagine dimostra che attività di screening mirate sono fondamentali per far emergere patologie latenti e, quindi, una diagnosi precoce diretta non soltanto a ridurre i danni ma anche la mortalità e i notevoli costi sociali e previdenziali correlati. Per questo medici ed esperti richiamano l’attenzione delle istituzioni sull’importanza di garantire azioni efficaci di prevenzione nella popolazione anziana, attraverso screening cardiologici ‘salvavita’ come per i tumori. L’adozione di programmi strutturati di prevenzione consentirebbe infatti – nel caso delle patologie valvolari – di evitare circa 150mila decessi a cui possono andare incontro coloro che soffrono di forme gravi se non identificate precocemente o trascurate. 

 I RISULTATI DELLO STUDIO PREVASC

“Negli ultimi 50 anni, l’aspettativa di vita media in Italia è aumentata di oltre 10 anni, per cui le malattie cardiache che prima avevano una bassa prevalenza, ora sono più rilevanti. La prevenzione è dunque fondamentale per salvaguardare qualità e durata della vita della popolazione anziana. Però bisogna agire in tempo. Da qui l’idea di avviare uno screening cardiologico sulla popolazione anziana, nella quale i problemi cardiaci sono la prima causa di morte e disabilità”, dichiara Niccolò Marchionni, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe). “Lo studio PREVASC (PREvalenza malattie cardioVASColari) ha lo scopo di fotografare lo stato di salute del cuore degli italiani over 65”, aggiunge Marchionni. “Dai dati raccolti nell’indagine conclusa a maggio su un campione di circa mille anziani in dieci piccoli comuni con meno di 3mila abitanti distribuiti su tutto il territorio nazionale, si osserva una prevalenza di circa il 30% di patologie valvolari nelle forme lieve e moderata, tre volte più alta rispetto a quella stimata fino ad oggi del 10-12%, con un’alta percentuale di ipertesi (83%), 19% di diabetici e 56% di dislipidemici. Tutte nuove diagnosi con sintomi silenti e fattori di rischio per cui gli anziani esaminati non erano in trattamento, in grado di generare negli anni successivi patologie cardiache clinicamente rilevanti. In particolare, anomalie la della valvola aortica sono risultate complessivamente presenti nel 27% e quelle della valvola mitralica nel 34% dei soggetti osservati”.

L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE: SCREENING CUORE ‘SALVAVITA’ COME PER I TUMORI

“La valenza davvero unica dello studio PREVASC è quella di aver fatto emergere vizi valvolari latenti che, se non diagnosticati precocemente e seguiti nel tempo, nel 10% dei casi rischiano di evolvere, nell’arco di 4-5 anni, in forme gravi che possono diventare fatali nella metà dei pazienti”, osserva Alessandro Boccanelli, vicepresidente della SICGe e coordinatore dello studio PREVASC. “Tutto questo ha gravi conseguenze per i pazienti, con una stima di 150mila decessi evitabili grazie all’adozione di programmi strutturati di screening ‘salvavita’ come per i tumori mammario, colon-rettale e della cervice uterina. Ciò permetterebbe un aumento del numero delle diagnosi dall’attuale 25% al 60%, consentendo di intervenire precocemente in modo da aumentare la probabilità di sopravvivenza. Una diagnosi tempestiva di queste patologie è possibile – prosegue Boccanelli – con un processo diagnostico non complesso, basta auscultare il cuore con un fonendoscopio e, nel caso si identifichi un sospetto, procedere a successivi esami più semplici come un elettrocardiogramma o più approfonditi, come un ecocardiogramma. Purtroppo questa pratica non è inclusa tra i controlli effettuati nella normale routine medica. Queste patologie – rimarca l’esperto - soffrono pertanto di una debolezza a livello diagnostico, con un importante impatto anche dal punto di vista economico se si considera che, da un recente studio sui dati INPS del CEIS di Tor Vergata, emerge una spesa previdenziale di 29 milioni di euro l’anno”. 

“Su questi presupposti, SICGe intende impegnarsi nel proporre di applicare su scala più ampia il progetto PREVASC, ossia promuovere un modello di programma di diagnosi precoce delle cardiopatie esteso e strutturato, che possa raggiungere l’intera popolazione over 65 a livello nazionale” concludono Marchionni e Boccanelli.

Lo studio PREVASC, condotto dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) rappresenta un significativo esempio di progetto di prevenzione sul territorio - ha dichiarato l’Onorevole Annarita Patriarca, membro della XII Commissione Affari Sociali presso la Camera dei Deputati - i dati dello studio sono un campanello d’allarme che non possiamo ignorare sullo stato di salute del cuore degli anziani. Con i colleghi della Commissione mi impegnerò per fornire risposte concrete e strutturate sui bisogni evidenziati in termini di prevenzione delle patologie cardiache degli anziani. In questa prospettiva gli screening di comunità sembrano costituire una strategia intelligente e da studiare a fondo per evitare decessi e provare a garantire un invecchiamento sereno agli over 65”.

“Il cambiamento demografico impone una riflessione più compiuta sulle attività di prevenzione delle cardiopatie degli anziani” ha detto Ugo Cappellacci Presidente della XII Commissione Sanità della Camera dei Deputati - “I dati dello studio PREVASC diffusi oggi dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica spingono il legislatore a considerare gli screening cardiologici dell’anziano come un’interessante opportunità per salvare vite umane e rendere l’invecchiamento attivo un’effettiva realtà. Mi impegnerò per intraprendere un percorso con le società scientifiche di cardiologia rivolto ad approfondire i dati emersi al fine di rendere strutturali i percorsi di prevenzione delle malattie cardiache in un contesto di sostenibilità per il SSN”

MALATTIE CARDIACHE, UNA PANDEMIA SILENTE ALLINEATA ALLA CRESCITA DEGLI OVER 65

“Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Europa e tuttora la prima di ricovero e di accesso agli ambulatori. E l’invecchiamento progressivo della popolazione rende ancora più allarmante la situazione, perché il rischio di sviluppare malattie cardiache cresce proporzionalmente con l’età – dichiara Fulvio Colivicchi, Past President dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e Vicepresidente Federazione Italiana Società Mediche (FISM) – L’allungamento dell’aspettativa di vita ha già determinato un’evoluzione epidemiologica significativa delle cardiopatie legate all’invecchiamento fisiologico del cuore, come la fibrillazione atriale, lo scompenso cardiaco e, le malattie degenerative delle valvole. Tutte patologie rilevanti in termini di costi e impegno organizzativo, perché complesse da gestire e in quanto costituiscono una condizione di cronicità e comorbidità frequente negli anziani, e che frequentemente impegna i pronto soccorso divenendo anche una sfida gestionale nell’equilibrio di un ospedale sempre più in prima linea nell’assistenza sul territorio. - osserva Colivicchi – È ora di intervenire tempestivamente: l’adozione di percorsi di screening mirati sulle fasce di popolazione più a rischio non è solo uno strumento efficace per contrastare l’insorgenza e la progressione di queste malattie, ma può avere un ruolo anche nell’attuazione di una presa in carico strutturata dei pazienti. In assenza di interventi preventivi opportuni a livello nazionale, queste patologie sono destinate ad assumere sempre più carattere emergenziale delineandosi come una vera pandemia silente”conclude Colivicchi.

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di Rossella Gemma

In occasione di Giugno Mese dell’Alzheimer, iniziativa promossa dall’Alzheimer's Association USA  (https://www.alz.org/get-involved-now/advocate) e dalle Associazioni Pazienti, la Società Italiana di Neurologia (https://www.neuro.it/web/eventi/NEURO/index.cfm) mette a fuoco le ultime novità sulla Malattia di Alzheimer che solo in Italia colpisce circa 600.00 persone. Ciò che sta cambiando è il crescere delle evidenze scientifiche a favore della possibilità di individuare i soggetti a rischio tramite marcatori plasmatici più facilmente accessibili tramite semplici prelievi ematici. Alcuni di questi, come le proteine fosfo-Tau, GFAP e neurogranina, possono indicare se l’accumulo di amiloide nel cervello rappresenta solo una soglia di rischio o se invece indica già la presenza di  malattia. La questione è di elevata importanza perché diversi studiosi concordano sul fatto che la prevenzione deve passare attraverso il controllo di tali parametri in associazione a quello dei noti fattori di rischio cardiovascolare e alle norme di vita con attività fisica costante, controllo del peso e un’alimentazione sana a base di legumi, frutta fresca e secca, pesce, limitando invece carni rosse e grassi animali.

“Nelle ultime settimane – commenta il Prof. Alessandro Padovani, Direttore Clinica Neurologica Università degli Studi di Brescia - ha suscitato interesse l’osservazione riportata su Nature Medicine da un gruppo di ricercatori internazionali secondo cui un’alterazione genetica casuale verificatasi a carico della proteina cerebrale reelina, che normalmente regola le funzioni neuronali, ha determinato una cosiddetta gain-of-function, cioè un guadagno di funzione. La variazione genetica, a cui è stata data la sigla RELN-COLBOS, ha portato infatti i due soggetti, un uomo e una donna, che l’hanno avuta a una trasformazione della loro reelina in un baluardo allo sviluppo della malattia di Alzheimer”.  I due soggetti infatti nonostante presentassero tutti i marker plasmatici e di imaging di malattia non si sono ammalati resistendo a lungo al suo sviluppo. Questa scoperta apre scenari interessanti per eventuali terapie geniche che permettano di stimolare la produzione di reelina protettiva nei pazienti a rischio.

Per quanto riguarda le terapie farmacologiche, la Food & Drug Administration americana ha approvato l’impiego di un nuovo farmaco monoclonale: il Lecanemab. Siamo in attesa di capire come si esprimerà l’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) nei prossimi mesi.

“I risultati degli studi condotti con farmaci anti-amiloide – afferma il Prof. Alfredo Berardelli, Presidente della Società Italiana di Neurologia - indicano di fatto che è possibile modificare il decorso della malattia, anche se non in modo eguale in tutti i malati. Diversi pazienti sembrano rispondere in modo assai favorevole, altri, invece, in modo poco favorevole, mentre altri ancora riportano eventi avversi, talora anche gravi. A tal riguardo, sono in corso anche nel nostro Paese indagini per comprendere chi sia a rischio di effetti collaterali e come prevedere in anticipo chi è a rischio di esserne colpito nel corso del trattamento”. Dopo i tanti studi concentratisi sulla proteina beta-amiloide uno studio ha recentemente dimostrato che è possibile ridurre la neurodegenerazione nei pazienti con malattia di Alzheimer agendo con farmaci che bloccano l’espressione della proteina Tau. Le indagini necessitano di conferma ma supportano precedenti studi a favore del ruolo fondamentale che la proteina Tau svolge al fianco della beta amiloide nello sviluppo della malattia.

Infine, sono sempre più numerosi gli studi sui trattamenti non farmacologici mediante l’utilizzo di correnti elettriche transcraniche o stimolazioni magnetiche transcraniche. I dati sembrano indicare non solo un effetto positivo sui sintomi cognitivi, ma anche effetti biologici protettivi che riducono  l’azione tossica dell'amiloide. L'esordio classico della Malattia di Alzheimer è rappresentato dalla comparsa insidiosa e progressiva di deficit della capacità di formare nuovi ricordi (memoria di fissazione o anterograda), a fronte di una relativamente conservata capacità di rievocare memorie più o meno remote. Successivamente, nel giro di qualche anno, tendono a comparire difficoltà di orientamento temporale (es. nel riferire la data e l’ora del giorno) e spaziale, di comprensione e recupero vocaboli comuni, di riconoscimento di persone note e di utilizzo degli oggetti, mentre il deficit mnesico diviene progressivamente sempre più severo.

Nelle fasi avanzate il paziente può non riuscire a distinguere il giorno dalla notte, a riconoscere il proprio domicilio, i familiari o addirittura sè stesso allo specchio, ad esprimersi verbalmente in maniera corretta e a svolgere movimenti più o meno complessi. Tutto ciò impatta naturalmente sulla sua capacità di occuparsi della casa, vestirsi e curare l'igiene personale, cucinare, utilizzare il denaro, uscire di casa e spostarsi da solo, assumere correttamente i farmaci, comunicare con gli altri, e così via. Inoltre, anche il movimento e la deambulazione divengono sempre più difficoltosi e incerti.

L'aspettativa di vita dalla diagnosi di demenza di Alzheimer è in media di 10 anni circa.

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di Rossella Gemma

Sono 630mila i nuovi casi e oltre 8mila i decessi in un anno: è l’impatto della polmonite pneumococcica sulla popolazione over-70 in Italia. Un impatto altissimo sulla salute degli anziani, che pesa sulla rete ospedaliera e sui costi a carico del servizio sanitario, e che minaccia la salute di tutti: in oltre il 30% dei casi, infatti, i batteri pneumococcici sono resistenti all’azione degli antibiotici. Uno scenario preoccupante che potrebbe essere evitato grazie a un più ampio ricorso alla vaccinazione che, tuttavia, stenta a decollare. A richiamare l’urgenza di un intervento di sanità pubblica che metta a sistema risorse e strumenti dedicati per rilanciare e standardizzare la vaccinazione antipneumococcica sul territorio nazionale, è Italia Longeva, l’Associazione Nazionale per l’Invecchiamento e la longevità attiva del Ministero della Salute, attraverso il Consensus Paper “La vaccinazione dell’anziano e del fragile contro la polmonite pneumococcica: Raccomandazioni per una maggiore diffusione” presentato al Ministero della Salute. Il documento, frutto del lavoro di un Board multidisciplinare di esperti, propone 12 Raccomandazioni, evidence-based e concretamente implementabili, utili a indirizzare le politiche sanitarie in materia.

In Italia la vaccinazione anti-pneumococcica, che protegge dai sierotipi che più frequentemente causano la polmonite, è gratuita per le persone di 65 anni e per chi ha condizioni di salute a rischio, vale a dire in quei soggetti in cui l’infezione può avere gli esiti più gravi per via della presenza di malattie croniche pregresse e di difese immunitarie deboli che consentono al batterio di diffondersi con facilità nell’organismo.

“La polmonite pneumococcica uccide ogni anno migliaia di anziani ma non fa notizia. In pochi la conoscono e in pochissimi si vaccinano – spiega Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. Alla scarsa informazione si affianca il mosaico di soluzioni operative messe in atto dalle Regioni, in assenza di indicazioni univoche sulle tipologie di vaccini da utilizzare e con quali modalità e tempistiche, per massimizzare la protezione offerta agli anziani in base a ciò che ci dice la scienza. Ma il vero cambio di marcia non potrà realizzarsi senza la completa informatizzazione dell’anagrafe vaccinale, in grado di darci in qualunque momento un’istantanea dei nuovi casi e delle coperture raggiunte, per meglio programmare l’offerta vaccinale e correggere il tiro laddove necessario. Il paper di Italia Longeva ha messo in luce le principali zone d’ombra che riguardano l’organizzazione della vaccinazione pneumococcica degli over-65, ma soprattutto ha offerto spunti concreti di riflessione sulle migliori strategie per rilanciarla garantendo omogeneità e appropriatezza”.

Indicazioni chiare a livello centrale per guidare la programmazione delle campagne vaccinali da parte delle Regioni; implementazione di sistemi di sorveglianza, a partire dall’Anagrafe vaccinale, per il monitoraggio dell’andamento epidemiologico dei casi di malattia pneumococcica e dello stato vaccinale della popolazione over-65; ampliamento dell’accesso mediante il coinvolgimento di altri professionisti e presidi del Servizio sanitario nazionale e  la destagionalizzazione della vaccinazione antipneumococcica che può essere effettuata tutto l’anno, da sola o in co-somministrazione con altri vaccini raccomandati per gli anziani; investimenti sulla formazione del personale sanitario e sull’informazione all’opinione pubblica: sono queste le quattro principali direttive contenute nel Consensus Paper di Italia Longeva per un nuovo modello di gestione che possa garantire una longevità in buona salute alla popolazione italiana.

 

“La totale assenza di una comunicazione strategica verso i cittadini è uno dei principali problemi legati all’elevata sotto-erogazione della vaccinazione anti-pneumococcica”, aggiunge Roberta Siliquini, Presidente SItI - Società Italiana di Igiene. “La promozione, a livello nazionale, di una campagna di informazione sulla polmonite pneumococcica e sulle opportunità di prevenzione offerte agli anziani attraverso la vaccinazione, insieme a una riforma organica dell’attuale modello organizzativo, può supportarci nel raggiungimento di un obiettivo che la comunità scientifica ritiene prioritario: innalzare le coperture vaccinali degli over-65 ai livelli auspicati dalle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali”.

 

“La mancanza di dati relativi alla vaccinazione anti-pneumococcica è un problema significativo, perché è solo partendo dai dati che si possono attuare strategie sanitarie efficaci e consapevoli”, afferma Walter Ricciardi, Professore d’Igiene e Medicina Preventiva, Università Cattolica del Sacro Cuore. “Il sistema informativo sulle coperture vaccinali realizzato in epoca Covid, messo in piedi in tempi record, dovrebbe sollecitare i decisori a implementare un meccanismo idoneo anche per questa vaccinazione. Attraverso il potenziamento dell’Anagrafe vaccinale sarebbe possibile avere accesso a dati importanti sulle coperture e misurare i benefici derivanti dalla vaccinazione”.

 

“È necessaria una riorganizzazione del sistema di accesso alla vaccinazione anti-pneumococcica per superare gli attuali bias organizzativi e culturali”, dichiara Graziano Onder, Dipartimento Scienze dell’invecchiamento, ortopediche e reumatologiche, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCSS. “I tempi sono maturi per ragionare sull’opportunità di somministrare il vaccino anti-pneumococcico attraverso la rete delle farmacie di comunità, nei setting della long-term care (RSA e ADI) e in ospedale, raggiungendo così i pazienti ricoverati o che accedono alla struttura per visite e trattamenti ambulatoriali. In quest’ottica, sarebbe opportuno l’inserimento della vaccinazione anti-pneumococcica all’interno dei principali percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) che interessano l’anziano. Infine, la destagionalizzazione dell’offerta vaccinale potrebbe consentire di raggiungere una più ampia fetta di popolazione eleggibile e di realizzare l’obiettivo dell’innalzamento delle coperture vaccinali”.

 

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di Rossella Gemma

È online sul sito di Cittadinanzattiva la guida “Covid, Long Covid e fragilità: Teniamo alta l’attenzione!” pubblicata all’interno del programma “BE A.W.A.R.E” (Be Active citizens for Widespread Awareness, infoRmation and Education). 

Informare e accrescere la conoscenza e la consapevolezza della popolazione sui rischi di sviluppare forme severe di COVID-19, in particolare per le persone con fragilità o con specifiche condizioni di salute: questo l’obiettivo della guida messa a punto da Cittadinanzattiva, disponibile anche in lingua inglese, e che contiene la lista dei 113 ambulatori territoriali per il trattamento del long Covid, i riferimenti per la tutela, e informazioni aggiornate su: fine pandemia e “nuova normalità”, il “long Covid”, il punto sulla vaccinazione anti Covid-19, l’impatto della malattia sui pazienti fragili, i fattori di rischio e la profilassi, la vaccinazione anti Covid-19 in gravidanza, allattamento e in età pediatrica.  

“A questo programma, la Società Italiana di Pneumologia – Italian Respiratory Society SIP/IRS ha partecipato attivamente ai tavoli – spiega il professor Angelo Guido Corsico, direttore dell’UO Pneumologia Policlinico di San Matteo Università di Pavia -. Assieme a diversi esponenti della Comunità e delle Società scientifiche abbiamo messo a punto questo opuscolo per mantenere alta l’attenzione della cittadinanza e, soprattutto, delle persone fragili che sono ancora a rischio. Anche se oggi il panorama in acuzie e in post covid è profondamente cambiato rispetto al 2020, grazie alla vaccinazione di massa che è stata eseguita, tuttavia il virus, però, è ancora presente – prosegue il professore -. In soggetti affetti da patologie polmonari croniche (come BPCO, discrasia polmonare, enfisema, malattie polmonari interstiziali, embolia polmonare, asma grave, ipertensione polmonare, etc.) l’infezione può aggravare una situazione respiratoria e potenzialmente può lasciare degli strascichi dannosi”. 

Il progetto di Cittadinanzattiva vuol essere dunque, da una parte, uno strumento informativo per queste persone affinché non abbassino il livello di attenzione e prevenzione rispetto al Covid; dall’altra, rappresenta un pungolo affinché il Servizio Sanitario Nazionale non si dimentichi della salute respiratoria ora che è passata l’emergenza pandemica. 

Anzi, “ora che gli ambulatori Covid sono stati chiusi e che l’attenzione è rivolta a recuperare il gap diagnostico accumulato, sarebbe opportuno destinare in anticipo risorse e medici pneumologi per presidiare la salute dei pazienti fragili, ed evitare che possano verificarsi nuove ma già vissute condizioni di emergenza sanitaria”. 

Più in generale, è il ruolo della pneumologia in Italia a dover essere preso in esame. “Le malattie respiratorie sono uno dei principali problemi sanitari mondiali e causano un sesto di tutte le morti. In Italia, la salute respiratoria sta peggiorando, molto probabilmente per effetto dell’inquinamento atmosferico, con una crescita di asma, rinite allergica, infezioni respiratorie e broncopatie. Ma – sottolinea Corsico – dopo la centralità riconosciuta ai pneumologi durante la pandemia, la disciplina è scesa nella lista delle priorità. Il nuovo tariffario nazionale per le prestazioni ambulatoriali prevede infatti un drastico ribasso, anche del 30/40%, per le visite e gli esami pneumologici. Per esempio, un importante esame come l’emogasanalisi – prelievo di sangue arterioso che serve a misurare la quantità di ossigeno presente nel sangue e che necessita di una siringa speciale – oggi è valutato 7 euro contro i 14 di prima”. 

“A fronte di questi tagli lineari - conclude il professore – sarà sempre più difficile, anche per le Regioni, conciliare il bisogno di cura con gli obiettivi di bilancio”. 

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di Rossella Gemma

Migliorano la qualità dell’assistenza e gli outcome di salute delle persone con diabete tipo 2 assistite nei centri diabetologici italiani: degli oltre 500mila pazienti monitorati ogni anno attraverso l’iniziativa Annali AMD, l’analisi dell’andamento dei fattori di rischio ha evidenziato che più della metà (54,6%) ha valori di emoglobina glicata a target (Hb1Ac £7%), il 23% ha buoni valori di pressione arteriosa (<130/80 mmHg) e il 34,3% di colesterolo LDL (<70 mg/dl). Bene l’accesso alle cure farmacologiche più innovative: rispetto alla precedente rilevazione Annali AMD, cresce la quota di pazienti in trattamento con SGLT2i dal 9,5% al 29%; dal 5,8% al 27,5% con GLP1-RA.

È questa la fotografia scattata dagli Annali AMD 2022, l’estrazione periodica realizzata dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD) che dal 2006 consente di monitorare l’andamento dell’assistenza erogata alla popolazione con diabete in Italia. Quest’anno la rilevazione ha coinvolto 295 centri di diabetologia – pari ad un terzo del totale nazionale – e complessivamente più di 500mila persone con diabete tipo 2, 37mila con diabete tipo 1 e, per la prima volta, 11mila donne con diabete gestazionale (GDM).

I risultati sul diabete tipo 2 sono stati oggetto di una pubblicazione su ‘Diabetes Research & Clinical Practice’, rivista scientifica di rilevanza internazionale, che ha sottolineato la validità scientifica e metodologica della misurazione. In generale, si evidenzia un progressivo e continuo miglioramento della qualità delle cure erogate nel nostro paese. Aspetto questo particolarmente rilevante dal momento che gli standard e i parametri di riferimento utilizzati per la misurazione sono diventati molto più stringenti, in accordo con le linee guida internazionali.

Di particolare rilevanza il dato sull’accesso ai farmaci innovativi, gli SGLT2i e GLP1-RA, dalla comprovata efficacia in termini di riduzione del rischio cardiovascolare e renale. Si riduce inoltre la prescrizione e l’utilizzo di sulfaniluree e secretagoghi; mentre il farmaco più prescritto resta la metformina (72%)” – dichiara Giuseppina Russo, coordinatrice del Gruppo Annali AMD. “Possiamo quindi affermare che la comunità diabetologica italiana ha intrapreso un percorso sempre più diretto a contrastare l’inerzia terapeutica. I medici prescrivono con maggiore favore i cosiddetti farmaci innovativi che supportano medici e pazienti a ridurre l’impatto delle complicanze cardio-renali nelle persone con diabete non controllato a beneficio della loro salute e qualità di vita con la malattia”.  

Il progressivo miglioramento delle cure e trattamenti erogati nei centri diabetologici monitorati dagli Annali AMD emerge anche guardando i risultati del Q-score, l’indice che misura la qualità dell’assistenza. Infatti, più del 60% delle persone con diabete tipo 2 ha un Q-score >25 che corrisponde ad un adeguato livello di assistenza con benefici diretti sulla salute complessiva e sulla riduzione delle complicanze per i fattori di rischio.

Siamo davvero molto orgogliosi che il lavoro degli Annali abbia ricevuto il giusto riconoscimento con la pubblicazione su ‘Diabetes Research & Clinical Practice’”, dichiara Graziano Di Cianni, Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi. “Dal 2006 gli Annali AMD ci danno la possibilità di toccare con mano i risultati delle attività che quotidianamente svolgiamo sul territorio e anche di orientare le strategie terapeutiche grazie all’implementazione dei dati con l’Intelligenza Artificiale e il machine learning. Il lento, ma progressivo miglioramento dei parametri, l’incremento dell’utilizzo dei farmaci innovativi e la migliore qualità di vita sono elementi che ci rendono particolarmente soddisfatti. Allo stesso tempo - conclude Di Cianni – è necessario fare un ulteriore sforzo per migliorare l’aderenza alle terapie e ridurre ancora di più il rischio cardiovascolare, che rappresenta la prima causa di morte nelle persone con diabete”.

L’articolo pubblicato su Diabetes Research & Clinical Practice è scaricabile a questo link

 

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di Rossella Gemma

Gli infarti gravi e fatali sono più comuni di lunedì. A inizio settimana, infatti, il rischio di subire un attacco cardiaco letale è superiore del 13% rispetto al previsto. Lo dimostra una ricerca irlandese appena uscita. Lo studio è stato condotto dai medici del Belfast Health and Social Care Trust e del Royal College of Surgeons in Irlanda, e appena presentata dalla British Cardiovascular Society (BCS), i quali hanno analizzato i dati di 10.528 pazienti ricoverati in ospedale tra il 2013 e il 2018 con il tipo più grave di infarto: un infarto del miocardio con sopra-slivellamento del segmento ST (STEMI) che si verifica quando un'arteria coronaria principale è completamente bloccata. 

“I ricercatori hanno riscontrato un picco di infarti STEMI all'inizio della settimana lavorativa, con una maggiore incidenza il lunedì – commenta Giovanni Esposito, professore di cardiologia alla Federico II di Napoli e presidente nazionale GISE –. Un dato che possiamo riscontrare anche in Italia, peraltro. In precedenti studi è stato evidenziato che a giocare un ruolo determinante sarebbe il ritmo circadiano, che regola il ciclo del sonno e della veglia. In effetti, a inizio settimana tendono ad associarsi tre importanti fattori di rischio cardiovascolare strettamente legati al ritmo circadiano: carenza di sonno, orari 'sballati' e stress di inizio settimana. Si tratta di una sorta di jetlag sociale, che va ad aumentare il rischio infarto nei soggetti più vulnerabili”. 
Insomma, al lunedì è facile che ‘sballino’ i cosiddetti orologi biologici periferici presenti in quasi tutti gli organi, cuore compreso. Lo spesso diverso stile di vita del fine settimana, frequente non solo nei più giovani, inoltre, può portare un incremento della pressione o degli zuccheri e lipidi nel sangue. “Ridurre questo rischio non è così difficile – aggiunge Esposito –: rispettare le buone regole di vita quotidiana, alimentari e di attività fisica, assumere l e terapie corrette agli orari appropriati, e magari prendere l'inizio della giornata e della settimana con calma, cercando di ridurre almeno lo stress”.
Un aumento degli accessi per infarto potenzialmente letale rende fondamentale che la ricerca continui a far luce su come e perché si verifica questo fenomeno. “Questo studio – conclude il presidente GISE – si aggiunge alle già numerose evidenze sulla tempistica degli attacchi di cuore particolarmente gravi, ma ora dobbiamo comprendere meglio quali siano i fattori che rendono determinati giorni della settimana più a rischio. Questo potrebbe aiutare i medici a mettere in atto strategie e approcci di intervento in grado salvare più vite in futuro”.